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PERCHE' LA GENTE NON VOTA (PIU')?

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

Parole chiave: voto (1), astensionismo (1), costituzione (2), politica (11), giovani (30), Italia (14)
PERCHE' LA GENTE NON VOTA (PIU')?

Alle recenti comunali si è assistito all’ennesima crescita – modesta ma continua e, a quanto pare, inarrestabile – del partito del non-voto. Ci si avvicina sempre di più al fatto che solo una persona su due si reca alle urne. E ogni volta ci si scandalizza (forse sempre un po’ meno). La Costituzione – decantata come “la più bella del mondo” – non sancisce forse, all’articolo 48, che l’esercizio del voto è un “dovere civico”? Eppure, ad un numero crescente di cittadini, il richiamo alla Carta costituzionale – ed alla lotta di liberazione dal fascismo che ha portato alla nascita della Repubblica – non appare più o appare sempre meno come argomento convincente. E così non vota.

Ben inteso, l’erosione del bacino di elettori è un processo – a nostro avviso assolutamente deleterio – che riguarda non solo l’Italia ma anche gli altri Paesi europei. Ma anziché guardare l’erba del vicino, che in questo caso non appare affatto più verde della nostra, dobbiamo soffermarci sul nostro giardino. E chiederci, senza moralismi e retorica, perché gli italiani votino sempre meno. Questa è una buona (e utile) domanda che dovrebbero porsi per primi i politici, che invece – a destra come a sinistra – sembra si stiano abituando a governare (o a fare opposizione) accettando che il principale partito sia, di gran lunga, quello del non-voto.

Perché, or dunque, la gente non vota più o vota sempre meno? È necessario sospendere il giudizio, quello che porterebbe a dare risposte trancianti, del tipo: «Sono pigri, non hanno senso civico né senso dello Stato, non hanno a cuore il Bene comune, sono indolenti, indifferenti, individualisti; non hanno voglia di informarsi e di conoscere la politica – “la più alta forma di carità”! – del proprio Paese». E via dicendo...

Il giudizio va sospeso soprattutto perché non sembra più adeguato a spiegare un fenomeno che riguarda quasi metà della popolazione italiana. Devono esserci anche altre ragioni. Le analisi sul tema, in verità, non mancano e indicano – come è facile immaginare – come prima causa la “sfiducia nelle Istituzioni”. Che tradotto significa: “Non vado a votare perché tanto – che io voti o non voti – l’Istituzione farà comunque il suo (sporco) gioco e non cambierà nulla”. Il che può anche essere una forma di protesta: “Non voto perché così voglio che si accorgano che non sono d’accordo con loro e con il sistema!”. Già, il sistema: questo Leviatano – secondo loro – perverso e irreformabile!

Ulteriore motivazione del partito del non-voto è la sfiducia nella politica in generale (e di quella italiana in particolare), che tradotto significa: “Non trovo una forza politica che mi rappresenti adeguatamente e di cui mi possa fidare”. Le ondate populiste che si sono susseguite dagli anni ’90 (post Tangentopoli) sino ad oggi – cioè quelle forze politiche che, tronfie, si atteggiano a risolutori degli endemici mali italiani – hanno mostrato la corda, una dopo l’altra. Da chi evocava nuove “marce su Roma” a chi voleva “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”. Hanno generato una profonda delusione: “Se non ci sono riusciti loro, allora non c’è proprio nulla da fare! Basta, non voto più!”. Sebbene si sia trattato di un processo salutare (il passaggio – per la verità non ancora del tutto espletato – dal populismo alla realtà), sul terreno sono rimasti i cocci della sfiducia, della delusione e dell’allontanamento dalla politica.

L’analisi del contesto politico italiano, soprattutto quello degli ultimi anni, porta a individuare anche altri argomenti per il fronte del non-voto: la crescente personalizzazione della politica (tutto ruota attorno al carisma del leader), l’erosione del centro e la polarizzazione destra-sinistra. Siamo di fatto tornati ad una forma di “bipolarismo”, a spese delle forze di centro ridotte sempre di più a percentuali residuali (anche per scelte poco sagge dei centristi: come definire altrimenti la querelle Renzi-Calenda?). Lasciando così senza un riferimento chi, per indole o per scelta, rifugge la polarizzazione e si colloca preferenzialmente in un’area moderata.

Difficile, in conclusione, proporre strategie per rimotivare al voto chi (per ora) non vuole saperne. Tuttavia, porsi il problema e, magari, mettersi in dialogo (e in ascolto) di questa parte (consistente) della società italiana potrebbe far scaturire qualche nuovo e benefico percorso. E poi bisogna coinvolgere i giovani e i ragazzi, perché si rendano presto protagonisti di una pagina nuova della politica italiana.

Alessio Magoga

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