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Papa Francesco, il coraggio per la pace

L'editoriale del direttore de L'Azione don Giampiero Moret

Papa Francesco, il coraggio per la pace

Haqualcosa di paradossale l’incontro di preghiera che si è tenuto domenica sera nei giardini vaticani. Hanno pregato insieme ebrei, cristiani e musulmani che hanno una radice religiosa comune. Possiamo dire che riconoscono sostanzialmente lo stesso Dio, quello che si è rivelato ad Abramo, a Mosè e ai profeti della Bibbia. Eppure ebrei e musulmani si odiano e si combattono, mentre i cristiani sono spesso vittime di questa contrapposizione. Del resto la stessa città di Gerusalemme, città centrale per tutte e tre le religioni, è una città contraddittoria. Il suo nome significa “citta della pace”, ma non c’è al mondo città più divisa e contesa. Sarebbe stato più significativo se l’incontro di preghiera fosse avvenuto a Gerusalemme, come, pare, fosse il desiderio di papa Francesco. Ma non è stato possibile, perché non si è riusciti nemmeno a mettersi d’accordo sul luogo in cui convenire, tanto è profonda la contrapposizione tra ebrei e musulmani, e per questo il papa ha offerto il Vaticano. Eppure, nonostante tutto questo, i tre hanno pregato per la pace e penso che lo abbiano fatto con tutta sincerità. Un incontro di questo tipo sarebbe impensabile nella laica Europa, dove la religione appare sempre più come un fatto privato che non ha niente a che vedere con la sfera pubblica. Si è convinti che la religione non offra nessun aiuto per la pacifica convivenza dei popoli. Anzi, è meglio che se ne stia alla larga perché quando si mette di mezzo le cose si complicano.  Meglio procedere realisticamente cercando di comporre il più possibile interessi e appartenenze contrapposte contando sulla forza del dialogo e della comprensione reciproca e, al limite, anche sulla deterrenza mostrando la propria potenza bellica. Lungi da me snobbare questi sforzi soprattutto quando mettono da parte il più possibile lo sfoggio e l’uso della forza. Non si può affermare che non siano stati fatti passi avanti su questa strada. La caduta del muro di Berlino ha rappresentato certamente il superamento di un contrasto che poteva portare il mondo ad una catastrofe planetaria. Anche l’Unione Europea è un esempio di progresso sulla via della pace. Tuttavia, nello stesso tempo, dobbiamo constatare che risolto un conflitto ne scoppia un altro. Raggiunta un’intesa ad un certo livello, se ne apre un’altra. Qualcuno, dopo la fine del comunismo, aveva parlato della fine della storia, nel senso che non ci sarebbero più stati grandi guerre che avrebbero movimentato la storia. Ma è stata una illusione. I conflitti si sono solamente spostati dal livello ideologico a quello culturale ed etnico. Insomma sembra che la pace sia un’utopia irraggiungibile e che dobbiamo saper convivere con la guerra. Il che comporta che le armi siano necessarie. Sembra che abbiano ragione, al di la di tante chiacchiere pacifiste, coloro che dicono che l’unica cosa da fare sia quella di essere sempre molto forti militarmente per fronteggiare ogni minaccia nemica. Discorsi di questo sono fatti sentire anche recentemente. L'incontro in Vaticano apre altre prospettive, proprio per il suo carattere paradossale. Se anche le tre religioni che avrebbero forti legami comuni e buoni motivi per convivere pacificamente, sono quelle che si combattono più ferocemente, vuol dire che l’istinto alla guerra segna profondamente la nostra natura umana. I fattori che scatenano la guerra sono molti. L’appartenenza religiosa, sentita come fattore estremo di sicurezza, diventa in questa situazione, uno dei motivi per aggredire o difendersi nei confronti di chi su questo piano è diverso. Ma se noi credenti, tutti insieme, al di là delle differenze, andassimo alle radici più genuine della religione, scopriremmo la vera soluzione di questi paradossi. Da una parte prenderemmo coscienza della nostra radicale impotenza a realizzare una vita perfetta, ma dall’altra incontreremmo chi può realizzare ciò che noi non riusciamo ottenere. Se entrassimo in rapporto autentico con Dio, fiorirebbe in noi la speranza che ciò che a noi è impossibile ci è da lui concesso. Ogni religione presenta sostanzialmente un Dio che è per il bene e per la pace tra gli uomini. Pregare Dio per la pace non vuol dire attendere passivamente che lui intervenga in luogo nostro. Pregare vuol dire riconoscere che la pace è un obiettivo al di là delle nostre forze e tuttavia voluto da Dio, per cui il nostro dovere, se vogliamo essere credenti fedeli, è chiedere a lui la forza per impegnarci per realizzarla. La religione deve diventare la forza decisiva per la pace come a volte è stata per la guerra.

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