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Qualche idea sul semestre di presidenza italiana in Europa

L'editoriale del direttore de L'Azione don Giampiero Moret

Qualche idea sul semestre di presidenza italiana in Europa

Matteo Renzi ha iniziato il semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea con un invito alla speranza non privo di una certa enfasi: “Non provate un brivido pensando ad essere chiamati oggi a realizzare quel sogno degli Stati Uniti d’Europa, avuto da quella generazione che nelle macerie del dopoguerra iniziò la creazione di un nuovo soggetto?”. Quindi ha invitato a dire ai propri figli come “l’Europa oggi sia il luogo in cui è possibile sperare”. La retorica è l’ultima cosa di cui l’Europa ha bisogno oggi.

Tuttavia è vero: dobbiamo continuare a sperare che sia possibile costruire gli Stati Uniti d’Europa in cui credettero i primi protagonisti e contrastare lo spirito disfattista che ha mandato al Parlamento europeo un esercito di nemici dell’Europa.

Pensare di ritornare a rifugiarsi nei nostri stati nazionali, nonostante sbagli e ritardi nel perseguire il sogno europeo, è veramente un processo regressivo. Un pessimo “conservatorismo”. Abbiamo bisogno di speranza, ma una speranza realistica che sappia individuare i passi precisi e concreti da fare per continuare il cammino.  Per essere così concreti è necessario innanzitutto renderci conto che cosa significhi la presidenza italiana inaugurata questa settimana.

Dal modo con cui si è parlato in questi mesi, molte persone si sono fatte l’idea che l’Italia sia chiamata a guidare tutta l’enorme baracca che è l’Unione europea. Si tratta di molto meno. Basti pensare che nei sei mesi precedenti la presidenza è stata esercitata dalla Grecia, che è la nazione che ha più bisogno dell’Europa, ma nessuno si è accorto di significative svolte in favore della Grecia. La presidenza assunta da Renzi è quella del “Consiglio dell’Unione europea” che è un organismo che riunisce periodicamente i ministri dei governi degli stati dell’Unione.

Il Consiglio dell’Unione ha una fisionomia variabile: può assumere 10 “formazioni” differenti a seconda del problema trattato e dei ministri convocati. Ad esempio quando sono convocati i ministri dell’economia e delle finanze prende il nome di Ecofin. Discute e adotta le leggi dell’Unione, ma nella maggioranza dei casi lo fa “insieme” al Parlamento e “tenendo conto” delle indicazioni della Commissione europea. Quest’ultima corrisponde per certi aspetti al governo di uno Stato, ha un presidente stabile per tutto il periodo legislativo (attualmente è il portoghese Barroso) e ha il compito di proporre le iniziative di legge. Il Consiglio dell’Unione europea è distinto dal Consiglio europeo, anche se strettamente ad esso collegato.

Questo riunisce i capi di Stato o di Governo dei paesi e viene convocato normalmente 4 volte l’anno con il compito definire le priorità generali della politica europea. Ha un presidente stabile che dura tutta la legislatura (attualmente è l’olandese Van Rompuy).

Questi brevi accenni per precisare la funzione della presidenza italiana dei prossimi mesi, danno l’idea della complessità della costruzione dell’Unione europea. Come sia possibile procedere “tenendo conto di...”, “insieme a...”, “rispettando quanto detto da...”, è un vero miracolo.

Le accuse di burocratismo che rallenta gran parte delle decisioni dell’Unione non sono infondate. Ma la complessità delle istituzioni è l’effetto inevitabile dell’audacia del progetto dell’unificazione degli stati dell’Europa. Rendiamocene conto. Si è trattato di mettere insieme nazioni che per secoli si sono combattute aspramente tentando in tutti i modi di prevalere l’una sulle altre. L’idea è scattata dopo le due disastrose guerre mondiali che in realtà sono state soprattutto guerre europee in cui gli stati europei si sono dilaniati reciprocamente.

Bisognava pensare una strada in cui nessuno prevalesse, nessuno volesse rivincite per i torti del passato, nessuno rinunciasse alle sue prerogative, nessuno perdesse le ricchezze del suo passato. Per questo si è pensata una forma di rappresentanza complicata che rispettasse l’identità ogni singolo stato e un minuzioso bilanciamento dei poteri che impedisse il prevalere di qualcuno. L’idea era che man mano che gli stati si fossero integrati in un’unione politica, si sarebbe semplificata anche la struttura istituzionale, con poteri chiari e definiti che avrebbero permesso decisioni più rapide e anche rapporti con gli altri stati più spediti.

È sintomatica la domanda attribuita a Kissinger: «A chi devo telefonare se voglio parlare con L’Europa?». Ma la strada si è dimostrata impervia. In realtà qualcuno ha prevalso e ha imposto i suoi interessi agli altri, qualcuno non è stato alle regole, qualcuno si è sentito minacciato e si è tirato indietro. Non poteva essere diversamente dato il passato da cui si è partiti. Tuttavia, nonostante queste deficienze è impensabile tornare indietro. Gli euroscettici e gli antieuropei hanno mille motivi dalla loro parte, ma le loro critiche, a pensarci bene, non spingono ad avere meno Europa, ma più Europa.

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