Editoriale
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Quaresima di Misericordia

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

Quaresima di Misericordia

"Misericordia io voglio e non sacrifici”: con queste parole inizia il messaggio di papa Francesco per la Quaresima 2016. Sono parole del profeta Osea, che Gesù richiama per far capire ai suoi discepoli – e ai “legalisti” di ogni tempo! – ciò che è veramente importante agli occhi di Dio: la misericordia, che tocca il cuore dell’uomo, e non dei gesti – seppur religiosi – che rischiano di apparire esteriori e distaccati. Il Papa è convinto che oggi il nostro mondo – non solo i cristiani, ma tutto il mondo! – abbia urgente bisogno di misericordia. Si tratta della misericordia di Dio che a cascata diviene misericordia dell’uomo nelle relazioni all’interno delle comunità cristiane e di quelle civili, nelle relazioni tra i popoli e tra le religioni. Per il Papa questo è un vero e proprio kairos, cioè un “segno dei tempi”, e quanto oggi lo Spirito chiede alla Chiesa. Essa è chiamata ad annunciare la misericordia e ad esserne segno credibile per un’umanità che ha perso la fiducia nella salvezza: “Perché è un’umanità ferita, un’umanità che porta ferite profonde. Non sa come curarle o crede che non sia proprio possibile curarle” (PAPA FRANCESCO, Il nome di Dio è misericordia, p. 30).

Mi sembra particolarmente efficace questa sottolineatura: tanti uomini e donne oggi sembrano aver persa la speranza in una prospettiva diversa, in un futuro di salvezza, in una redenzione possibile e considerano come irrecuperabile il loro lacerante presente: “La fragilità dei tempi in cui viviamo è anche questa: credere che non esista possibilità di riscatto, una mano che ti rialza, un abbraccio che ti salva, ti perdona, ti risolleva, ti inonda di un amore infinito...”, (PAPA FRANCESCO, Il nome di Dio è misericordia, p. 31).

Proprio per questo alla Chiesa oggi è affidata la missione di riannunciare ad ogni uomo – dentro e fuori le comunità cristiane – che è possibile esse- “M re perdonati e quindi ripartire, rimettersi in cammino, recuperare gli errori fatti, riparare al male commesso, sanare le proprie ferite, iniziare una nuova “storia”... La misericordia di cui il Papa parla è estremamente concreta: non sopporta camuffamenti spiritualistici o sotterfugi pilateschi. Chiede di coinvolgerci nelle situazioni lacerate e sanguinanti degli uomini di oggi. Colpisce l’insistenza con cui il Papa identifica i poveri con la “carne di Cristo”. Abbiamo sentito certamente dire che l’Eucaristia è il “corpo di Cristo” e che lo è anche la Chiesa. Ma ci risulta più difficile – seppure assolutamente in linea con il Vangelo e con la tradizione dei Padri – questa ulteriore identificazione, secondo la quale gli ultimi, i deboli e i bisognosi sono anch’essi “carne di Cristo”, vale a dire presenza “reale” di Gesù. Misericordia allora significa prendersi cura di questa “carne”, senza infingimenti e senza fughe, senza girare le spalle e far finta di non vedere. Quello del Papa è un appello trasversale e “bipartisan”, valido per ogni uomo, credente o non credente: “Prenditi cura di ogni tuo fratello in difficoltà”. C’è un secondo aspetto del messaggio, su cui il Papa torna spesso. Siamo tendenzialmente portati a pensare che prendersi cura del bisognoso sia un’opera buona che facciamo noi e di cui l’altro ci dovrebbe ringraziare: siamo noi che “diamo” e l’altro “riceve”.

In realtà, il Papa scardina questa visione perbenistica della carità: prendersi cura del fratello più povero è necessario a noi per riscoprire chi siamo veramente. Per il Papa, infatti, il povero “è la possibilità di conversione che Dio ci offre e che noi non vediamo”. Delle opere di misericordia, ne abbiamo bisogno noi, che siamo accecati da un “superbo delirio di onnipotenza”, che attanaglia le nostre società. Siamo noi ad aver bisogno delle opere di misericordia, perché questo ci potrà finalmente far uscire dalla nostra “alienazione esistenziale”. La situazione allora si capovolge: non è chi riceve che ha più bisogno, ma chi dona (o crede di donare). “Infatti è proprio toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere in dono la consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante. Attraverso questa strada anche i ‘superbi’, i ‘potenti’ e i ‘ricchi’... hanno la possibilità di accorgersi di essere immeritatamente amati dal Crocefisso, morto e risorto anche per loro”. Le opere di misericordia, allora, servono a noi per riscoprire la nostra umanità e il nostro profondo desiderio di Dio.

Alessio Magoga

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