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Renzi: "Non si può trattare male chi ha figli"

L'editoriale del direttore de L'Azione don Giampiero Moret

Renzi: "Non si può trattare male chi ha figli"

Finalmente è stato detto. Il premier Renzi nell’intervista concessa a Repubblica il giorno di Pasqua ha dichiarato: «Ottanta euro dati ad un single hanno un impatto diverso rispetto ad un padre di famiglia monoreddito con 4 figli. Dobbiamo porci questo problema». L’intervistatore gli ha chiesto: «Parla del “quoziente familiare?” ». Risposta: «Qualcosa del genere. Ne discuteremo con gli esperti e con la maggioranza. Ma l’Italia non si può permettere il lusso di trattare male chi fa figli». Coloro ai quali sta a cuore la famiglia si sono sempre battuti per questa idea che sembra ovvia, ma che non è mai stata accettata: i figli sono un carico economico considerevole, per cui i provvedimenti di sostegno sociale o il sistema di tassazione del reddito non possono mettere sullo stesso piano le famiglie senza figli e le famiglie con figli. Bisogna tener conto del “quoziente familiare”.

La cosa dovrebbe essere pacifica perché i figli sono la risorsa fondamentale della società. Eppure troppo poco è fatto per sostenere le nascite ed è certamente uno dei motivi per i quali il nostro Paese è in coda alle classifiche sul tasso di fecondità, con la conseguenza dell’invecchiamento progressivo e la carenza di energie fresche. Secondo le statistiche dell’Onu l’Italia è al 174º posto su 195 nazioni, con un tasso di 1,38 figli per donna. Per eliminare questa ingiustizia si parla appunto del “quoziente familiare”. Con queste parole Renzi ha eliminato un tabù, perché ogni volta che a livello politico si nominava il quoziente familiare si scatenava subito un’ondata di obiezioni perché lo si riteneva insostenibile e dannoso per l’economia del Paese. Ora il presidente si è finalmente pronunciato: è necessario il quoziente familiare. Speriamo che non si fermi all’annuncio. La considerazione del numero dei figli nel definire la situazione economica della famiglia è un elemento importante per contrastare la deriva di impoverimento della società.

La decisione di Renzi – fin troppo annunciata – di mettere 80 euro in più nella busta paga dei lavoratori al di sotto di un certo reddito, è senz’altro una buona decisione. È un piccolo sostegno ad una situazione che si fa sempre più drammatica. L’Istat ha offuscato la serenità pasquale rendendo pubblici gli ultimi dati sulla povertà in Italia: nel 2013 le famiglie che “cercano con tutte le forze lavoro” e non lo trovano, per cui nella famiglia non entra alcun reddito da lavoro, sono 1 milione 130 mila, con un aumento del 18,3% rispetto l’anno precedente. Una cifra da non credere. Di queste, ben 491 mila sono famiglie con figli. Stiamo abituandoci a non essere troppo scossi da queste disperate situazioni. In realtà la nostra società si sta dilacerando sempre più: la ricchezza si concentra sempre più in poche mani mentre il resto scivola verso la povertà.

Praticamente non esiste più una classe media moderatamente benestante. Secondo i dati della Banca d’Italia nel 2010 il 10% degli italiani godeva del 50% della ricchezza del Paese, accanto ad un 14,4% che versava in stato di povertà relativa. Nel mezzo una massa che pur non avendo gravi problemi tuttavia doveva essere molto attenta alle spese. Il peggio è che da allora le cose sono peggiorate: i ricchi in questi anni di crisi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri.

In questi giorni sono stati comunicati i dati di una ricerca della Coltivatori Diretti, secondo i quali più di 4 milioni di italiani per poter avere cibo a sufficienza devono far ricorso alle borse di spesa che vari enti offrono. na società così lacerata dal punto di vista economico è un organismo gravemente ammalato dove può accadere di tutto. Segni di tensioni, di movimenti sgangherati, di progetti malsani non mancano. Il governo Renzi ha promesso tante cose. Gli 80 euro sono un piccolo passo. Se non ne seguiranno altri più decisivi e costanti non si invertirà la tendenza. Alla fin fine è su questo fronte concreto della giustizia economica che si deciderà se è veramente la “svolta buona” oppure se si tratta soltanto di parole.

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