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Riforma del lavoro senza diktat e "no" ostinati

L'editoriale del direttore de L'Azione don Giampiero Moret

Riforma del lavoro senza diktat  e "no" ostinati

Sogno un sindacato che, nel momento in cui cerchiamo di semplificare le regole, dia una mano e non metta i bastoni tra le ruote”, afferma Renzi (intervista al Corriere) e aggiunge: “in ogni caso non sarà un sindacato a fermarci”. Il decreto sul lavoro approvato dal parlamento e in discussione al senato, è diventato un terreno di scontro tra il sindacato – unito, in questa occasione – e il governo. Il decreto rappresenta il primo passo della riforma del lavoro, lanciato da Renzi all’americana come Jobs Act. Già alla prima presentazione aveva suscitato gravi perplessità. L’accusa era precisa: fa aumentare la precarietà. Infatti offre alle imprese la possibilità di assumere operai in prova per 36 mesi (tre anni) senza legami per il datore di lavoro, quindi con operai totalmente precari. Ci sono, però, dei limiti: gli operai in questo stato di precarietà non possono essere più del 20% dei dipendenti, quelli in più devono essere assunti a tempo indeterminato. Nella discussione in commissione le cose, poi, sono peggiorate. Una modifica, voluta da Alfano, ha abolito l’obbligo dell’assunzione per i contratti eccedenti il 20% e lo ha sostituito con una semplice multa. Il governo considera definitiva la formulazione e così è stata votata dalla camera.

C’è però da aggiungere che il governo sta lavorando ad un disegno di legge delega che dovrebbe completare la riforma introducendo, tra l’altro, il contratto a tutela crescente, vale a dire che man mano che passano i 36 mesi aumentano le restrizioni per il licenziamento dell’operaio assunto fino all’obbligo dell’assunzione a tempo indeterminato. on c’è dubbio che 36 mesi di precarietà, sia pure per il 20% degli operai, sono tanti. Mani troppo libere per l’imprenditore. Il governo sostiene che in questo modo si favoriscono le assunzioni e quindi si combatte la disoccupazione, che è il male più grave. Di fronte alla crisi che sta facendo strage tra le imprese – stiamo assistendo allo smantellamento di imprese del calibro della Electrolux – bisogna rendere più agevole all’imprenditore le assunzioni, liberandolo dall’ossessione che una volta assunto un operaio deve tenerselo per sempre. Questo dice il governo. Ma il sindacato controbatte dicendo che l’aumento della precarietà non allarga le possibilità di lavoro, lo rende solamente più incerto e umiliante. La causa vera della disoccupazione è che si investe troppo poco in attività produttive e si investe poco perché manca una politica di espansione industriale che punti sui settori più innovativi e che conceda più credito alle imprese. Sono questi i N veri nodi da sciogliere. he dire? Bisogna fare molta attenzione in tema di lavoro. Tra gli apparati dell’incerta costruzione europea tira un’aria malsana troppo favorevole a semplificazioni in fatto di lavoro. È una tendenza che va a pari passo con quella di puntare soprattutto a rimettere a posto i conti pubblici imponendo misure di austerità insopportabili.

Le tutele del lavoro infatti sono considerate una delle cause che fanno andare fuori controllo le finanze del Paese. Non si può assicurare un reddito da lavoro a tutti, non si può garantire pensioni che permettano una serena vecchiaia a tutti, come anche non si possono fare investimenti azzar- C dati con l’obiettivo di creare più posti di lavoro. Sono cose che non fanno altro che allargare il buco del debito pubblico. Meglio permettere alle imprese di tirare avanti lasciando mani libere in fatto di lavoro. E pazienza per gli operai, in seguito, se ci sarà ripresa, anche loro ne beneficeranno. Ma tutto questo è inaccettabile per chi ha a cuore la giustizia e l’attenzione alle parti più deboli. Sono semplicemente ingiustizie belle e buone. orse è eccessivo denunciare il progetto Renzi come allineato su queste posizioni di rigore e di insensibilità sociale. Credo che si possa concedere più fiducia al suo tentativo di ripensare un contratto di lavoro che corrisponda meglio alla rivoluzione in atto che richiede più agilità e adattabilità all’impresa, fermi restando gli inderogabili diritti del lavoratore e la dignità della persona che non può essere usata come uno strumento che si adopera e si lascia con tutta libertà. È certo, però, che non si può raggiungere questa ricomposizione di giustizia ed efficienza se non dialogando. Il premier non può tirare avanti per la sua strada a suon di diktat e i sindacati non possono arroccarsi in “no” ostinati. Un mondo nuovo sta nascendo. Anzi è già cresciuto al punto da camminare spedito senza che nessuno possa fermarlo. L’importante è indirizzarlo per la strada giusta.

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