Editoriale
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UN CASTIGO DI DIO?

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

UN CASTIGO DI DIO?

Trovo curioso e preoccupante quello che ho letto (e sentito) in questi giorni da alcune fonti di ispirazione cattolica. Mi riferisco a chi ha detto di considerare il Coronavirus come una sorta di castigo o più mitemente un “avvertimento” divino. Penso anche a quanti banalizzano o ridicolizzano le disposizioni che le varie diocesi del Nord – tra cui la nostra – hanno preso, in accordo con le autorità civili, perché sono convinti che tutto questo sia segno di poca fede (se non addirittura dell’estinzione della medesima a causa delle “riforme” bergogliane): “Non avremmo forse bisogno – asseriscono – proprio ora di più messe e di più processioni?”. La cosiddetta “teologia del castigo” – testimoniata nell’Antico Testamento e presente, anche se in forma decisamente minore, in alcune pagine del Nuovo – va utilizzata con la massima cautela, perché ha provocato danni considerevoli in un recente passato (era uno dei temi prediletti della predicazione fino a non molti decenni fa): essa ha contribuito ad instillare nelle coscienze dei cristiani l’immagine di un Dio punitore e castigatore, che non è conforme all’immagine di Dio che Gesù rivela nel suo vangelo. Mi chiedo come dovremmo intendere le situazioni di dolore che improvvisamente colpiscono le persone. Penso ad una malattia incurabile che all’improvviso si manifesta o ad un incidente in cui si è accidentalmente coinvolti a causa dell’errore di un altro… Anche questo è un “castigo di Dio” o un suo avvertimento? Credo si debba avere più umiltà e più delicatezza nei confronti dei vissuti delle persone. A quanti se la prendono con i presuli perché hanno “vietato” le messe direi – molto schiettamente – che se messe e processioni possono diventare luogo di diffusione della malattia, come qualsiasi altro assembramento, è bene essere prudenti e prendere i provvedimenti di contenimento come quelli che sono stati adottati.

Le messe, poi, non sono state vietate: i preti continuano a pregare e a celebrare l’eucaristia anche se in piccoli gruppi; le chiese sono per lo più aperte (lì dove è possibile farlo perché un minimo di sorveglianza è garantito); quasi tutte le diocesi si sono mosse in tempi strettissimi per dare suggerimenti ai fedeli per vivere in modo significativo questo tempo prezioso (sono stati approntati sussidi per la preghiera personale, mentre spunti di riflessione e momenti celebrativi sono stati trasmessi via youtube e social)... Va ricordato, infine, che si tratta di forme temporanee e confidiamo di tornare il più presto possibile a celebrare l’eucaristia con le nostre comunità. Scambiare tutto questo per un segno di poca fede lo trovo, a dir poco, irrispettoso. Tra queste schiere di critici vi è anche chi non ha mancato di accusare papa Francesco perché – nel contesto dell’assise di Bari di domenica scorsa – non ha speso una parola per il “dramma” del Coronavirus nel Nord Italia. La sua massima colpa – aggiungiamo noi – sarebbe stata quella di aver citato – uno dei pochi ormai! – il dramma della Siria. Ricordate Aleppo e quella bambina morta di freddo e di stenti, che il papà aveva cercato di portare in un ospedale, sfidando il freddo, con un equipaggiamento del tutto inadeguato? Forse è qui, nella guerra della Siria, che si dovrebbe tirare in ballo più opportunamente il termine “castigo”: è il terribile castigo che gli umani si infliggono gli uni gli altri per brama di potere. Ma c’è poi anche il castigo che ci si infligge con l’indifferenza e l’egoismo: il castigo di chi si preoccupa solo di sé e va in panico se qualcuna delle sue sicurezze vacilla… Come definire la corsa all’accaparramento di generi alimentari di questi giorni: “Persino le bottiglie d’acqua sono finite!” ha commentato qualcuno su FB. Castigo di dimensioni bibliche – e per il quale non abbiamo né occhi né orecchi – è quanto sta accadendo nel Corno d’Africa, con gli sciami di locuste che stanno distruggendo i raccolti: lì non ci saranno camion di viveri e medicinali pronti ad intervenire per soccorrere le persone. Tornando al “nostro” Coronavirus, credo che questo momento – difficile certo, ma non così drammatico come altri dolorosi eventi che accadono nel mondo – richieda a ciascuno di noi di mettere da parte ogni forma di “complottismo” e di deporre l’ascia di guerra, sia che apparteniamo alla destra o alla sinistra, sia che ci diciamo progressisti o conservatori. È il momento di prendere sul serio le indicazioni che ci vengono dalle istituzioni, che hanno il compito di gestire questa delicata fase, e – con fede, senso di responsabilità e lucidità – collaborare insieme per superarla il più presto possibile. Tutti, ripeto, insieme.

Alessio Magoga

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