Editoriale
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UN IMPROVVISO RAGGIO DI SOLE

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

UN IMPROVVISO RAGGIO DI SOLE

Quando sono in auto e mi capita di incontrarli, talvolta mi chiedo che cosa pensino gli addetti ai “lavori in corso” che faticano lungo le nostre strade trafficate, spesso piene di smog. Un lavoro duro, il loro, talvolta anche pericoloso. Mi colpiscono soprattutto quelli che hanno il compito di segnalare il verde per far passare le macchine e il rosso per intimare loro lo stop, quando per qualche motivo non è disponibile un semaforo mobile. Come si sa, uno dei due si colloca a monte, rispetto ai lavori, e l’altro a valle. Penso alle ore passate sulla strada, con il sole o il freddo, con la pioggia o il vento, a girare una paletta rosso-verde per regolare il traffico di macchine anonime e nervose, che poi sfrecciano via, generalmente infastidite da quelli che sono ritenuti dei noiosi contrattempi. Forse qualcuno, a volte, fa loro un cenno di saluto, come a ringraziarli. Bisogna riconoscere che c’è una dignità che viene dal lavoro in sé, qualunque esso sia. E al giorno d’oggi non è una cosa scontata averne uno: non tutti hanno un’occupazione oppure faticano a trovarla. Il lavoro, anche se umile, è un’opportunità, oltre che un diritto (e insieme un dovere). Ma bisogna riconoscere, allo stesso tempo, che la dignità viene anche dal “modo” in cui si lavora: è questo che fa la differenza e dipende in gran parte dal senso di umanità delle persone, ovunque si trovino e qualunque lavoro stiano svolgendo.

Si può vivere il proprio lavoro come una maledizione di cui liberarsi il prima possibile per occuparsi al più presto di altro; oppure, sebbene con le fatiche ed i sacrifici che esso necessariamente comporta, si può viverlo come un’esperienza di libertà ed autenticamente umana. Così l’altro giorno, in prossimità di uno dei tanti “lavori in corso” che capita di incrociare sulle nostre strade, al passaggio di un carro funebre ho visto i due addetti alla regolamentazione del traffico, prima uno e dopo l’altro, sommessamente e con assoluta discrezione, togliersi il berretto e farsi un segno di croce. Avrebbero potuto ignorare la cosa e far finta di niente: tra le migliaia di auto che passano ogni giorno, che differenza fa un corteo funebre? Perché distinguerlo da una qualsiasi altra colonna di auto? Invece no, hanno deciso di compiere un gesto ed hanno scelto di fare la differenza. Al di là del credo religioso di ognuno di noi, ho trovato quel gesto un segno di rispetto e di umanità di inestimabile valore, che mi ha profondamente sorpreso. Lo ritengo una manifestazione di quella “pietas” latina, che l’italiano “pietà” non rende e che per gli antichi romani era l’esser buoni – se così si può dire – con persone che non si conoscono, semplicemente per il fatto che sono persone. Un gesto umanissimo e gratuito, che esprime sorprendentemente vicinanza e solidarietà. Piccoli episodi come questo, intravisto durante un corteo funebre in mezzo a degli anonimi lavori in corso in una giornata di consueto traffico, vanno riconosciuti e sottratti all’oblio della noncuranza, perché – a mio avviso – sono l’antidoto alla grettezza d’animo ed all’indifferenza che sembrano affliggere così duramente il nostro tempo. Mi sento di esprimere gratitudine a queste due persone, perché con il loro gesto – meglio di tante parole o tanti discorsi – per me e per altri che se ne sono resi conto sono stati, in una giornata plumbea, un improvviso raggio di sole.

Alessio Magoga

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