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UN SINODO PER LA CHIESA ITALIANA?

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga

UN SINODO PER LA CHIESA ITALIANA?

La proposta di un sinodo sembra provenire niente meno che da papa Francesco ed è stata lanciata durante il discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’ufficio catechistico nazionale della Cei, tenuto lo scorso 30 gennaio (presente anche il vescovo Corrado). «La Chiesa italiana – ha detto papa Francesco, alzando gli occhi dal foglio, alla fine del suo intervento – deve tornare al convegno di Firenze e deve cominciare un processo di sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi...». Tutti gli organi di stampa che monitorano il mondo cattolico italiano hanno subito titolato sulla necessità di un sinodo per la Chiesa italiana.

Ora, il sinodo – in questo caso addirittura “nazionale” – è una “figura” prevista dal diritto canonico ed è alquanto complesso: ha la facoltà di giungere a modificare alcune dimensioni strutturali di una diocesi o – nel caso di un sinodo nazionale – di più diocesi. La Chiesa tedesca, ad esempio, è attualmente impegnata in un sinodo nazionale, iniziato nel gennaio del 2020 ed ancora in corso, il cui cammino può portare a delle “sorprese”. Nel giugno del 2019 papa Francesco aveva dato delle indicazioni su come avviare tale sinodo con una “lettera al popolo di Dio che è in Germania”, quasi a mettere le mani avanti rispetto a possibili “esagerate” richieste di cambiamento. Ma il sinodo nazionale è davvero ciò di cui la Chiesa italiana ha bisogno? Innanzitutto, va detto che al convegno ecclesiale celebrato a Firenze nel novembre del 2015, papa Francesco non aveva parlato di un sinodo ma di un modo o stile sinodale. È ben diverso.

Poi, aveva invitato tutte le diocesi ad approfondire la sua esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” (cosa che la diocesi di Vittorio Veneto ha prontamente fatto nell’anno pastorale 2016/2017). Del convegno di Firenze – dobbiamo riconoscerlo – è rimasto quello, cioè il discorso del Papa. Il resto, purtroppo, è finito nell’oblio il giorno dopo che il convegno si è concluso. Chi vi partecipò – come il sottoscritto – lo capì subito, già dalle battute finali. Mentre il convegno stava per concludersi, già girava voce che non ci sarebbe stato un documento finale, né un messaggio ufficiale. Gli atti sono rimasti “virtuali”, cioè conservati in forma digitale sul sito (bello, in realtà, e ancora attivo) predisposto per il convegno di Firenze. Verrebbe da dire che si è trattato di uno spreco - non piccolo - di energie e di risorse. Ciò che doveva essere la risposta della Chiesa italiana alle domande dell’uomo di oggi (“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” era il titolo) si è risolto in un nulla di fatto, col rischio di amplificare la percezione di una discrasia tra chiesa e società, tra cristianesimo e cultura di oggi. (Che dire poi del “progetto culturale” che, attivato anni prima, aveva proprio l’obiettivo di mettere in dialogo Chiesa e cultura contemporanea?).

Perché a Firenze è andata così? Come sempre hanno influito varie cause. Tra queste, non di poco peso sono state le scelte audaci di papa Francesco che, con il suo discorso a Santa Maria del Fiore, ha sparigliato le carte. Cosa puoi dire dopo che il Papa ti chiede di soffermarti sulla sua esortazione apostolica? Quali messaggi e documenti vuoi produrre? Cosa puoi fare, poi, se in quello stesso novembre in cui finisce il convegno, il Papa apre l’anno giubilare della Misericordia (2015/2016)? Tutti spiazzati e presi in contropiede! Forse ci voleva una regia più ferma e creativa da parte dell’episcopato italiano per dare un seguito a Firenze. Sicuramente non hanno giocato a favore poi le facili battute, già in circolo prima che il convegno iniziasse, del tipo: “Che cosa resta di un convegno ecclesiale?”. “Che cosa è rimasto – dicevano i detrattori – dei precedenti convegni ecclesiali (di Palermo e – soprattutto – di Verona)?”. Ebbene, è andata proprio così: se di quelli è rimasto poco, di Firenze ancora meno, eccetto – lo ripeto – il discorso del Papa.

Ma allora perché un sinodo? Se i convegni ecclesiali nazionali – con il loro complesso meccanismo decennale – non hanno funzionato, perché un sinodo dovrebbe essere efficace? La motivazione più vera che scorgo è la possibilità di attuare delle modifiche strutturali nella Chiesa italiana, che, se resta così com’è, non pare in grado di tenere il passo delle trasformazioni in atto. Siamo nel pieno di una crisi profonda che la pandemia ha evidenziato e accelerato, certo, ma non provocato. Che fare? Aspettare che i numeri, anno dopo anno, diminuiscano, in una lenta ma inesorabile ritirata? Da questo punto di vista, forse la provocazione di papa Francesco, sebbene per certi versi estemporanea, può essere salutare: come un invito ad agire, non soltanto ravvivando e consolando, ma “riformando”, cioè dando “nuova forma” alla Chiesa italiana, con tutti i rischi del caso, certo. Non è un rischio minore, tuttavia, stare fermi e semplicemente aspettare.

Alessio Magoga

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