UNA CHIESA CHE INCONTRA LE PERSONE
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
“Spiegazioni soporifere”: l’espressione - che ho sentito ad una conferenza e che mi ha colpito molto - è dell’antropologo Gregory Bateson e vuole indicare delle affermazioni sostanzialmente vere, attorno alle quali tutti manifestano il proprio consenso, ma che poi non lasciano traccia nel vissuto delle persone. Dopo aver annuito, ognuno torna a “dormire”: tali affermazioni non incidono sul vissuto delle persone, non diventano esperienza concreta, decisione a cambiare qualche cosa della propria esistenza. Non pochi interventi, commenti, discorsi, prediche... del mondo ecclesiale (in realtà, non solo quello) siano “spiegazioni soporifere”: tutti ascoltano, tutti annuiscono, tutti tornano a casa come sono venuti e continuano a “dormire”.
Grazie al cielo, però, non accade sempre così. E per certi versi il cammino sinodale che stiamo percorrendo come Chiesa può essere un’occasione per non fermarsi a delle “risposte soporifere”. Mi è capitato recentemente di partecipare ad un’esperienza di gruppi sinodali che ha coinvolto i membri dei consigli pastorali di un’unità pastorale. Nello svolgimento dell’incontro si è cercato di seguire il metodo “sinodale”, pur con qualche difficoltà, dal momento che era la prima volta che si operava in tal guisa. Tuttavia, quello che è emerso all’interno dei gruppi di lavoro e poi nella condivisione assembleare non è stato affatto “soporifero”. Con molta chiarezza, ad esempio, è stato messo in luce un appello, di cui i consiglieri si sono fatti portavoce, vale a dire l’esigenza di maggiore ascolto, di maggiore accoglienza, di una più profonda conoscenza tra le persone... Un appello rivolto ai pastori, certo, ma anche agli operatori pastorali e a quanti hanno a cuore la vita della propria comunità cristiana. Dalle parole condivise si percepiva, in modo via via crescente, il desiderio di una comunità più accogliente e più attenta alle persone. In questa richiesta non è difficile scorgere un forte bisogno di umanità e di relazioni interpersonali, che la secolarizzazione, l’individualismo, la pandemia... hanno messo duramente alla prova, mostrandone al tempo stesso ancora di più il valore e l’urgenza.
Come possano le comunità cristiane dare risposta a questo appello non è chiaro. Dall’incontro sono emersi solo degli spunti, delle parole chiave sulle quali bisognerà fare discernimento per giungere a qualcosa di più operativo. Tuttavia – come insegnano i fautori dell’ascolto attivo – “non bisogna aver fretta di trovare le soluzioni”: è bene tenere presente la questione e poi insieme (perché non è il problema del prete, ma di tutta la comunità) cercare prospettive di soluzione. Che non tarderanno ad arrivare, se tutti si metteranno a cercarle insieme: le risposte arrivano proprio quando, mettendosi nella prospettiva del “noi”, ci si pone le “domande impossibili”. Senza nascondersi le difficoltà, perché – come qualcuno dei consiglieri ha rilevato con molta schiettezza – nel sentire di non poche persone sono numerose le perplessità nei confronti della comunità cristiana e riguardano, tra gli altri, il tema del peccato, il timore di essere giudicati, le (asserite) incoerenze della Chiesa, la distanza (percepita) tra la prassi ecclesiale e la sensibilità prevalente di oggi (non ultimo, il ruolo della donna)...
Può darsi – anzi è molto probabile – che sia un cammino in salita, non facile. In ogni caso è da fare e – a quanto pare – partendo dalle relazioni umane e dall’incontro con le persone: la cosa apparentemente più ovvia e forse proprio per questo anche la più urgente e la più necessaria.
Alessio Magoga
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