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UNA POVERTÀ “SBALLATA”

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

UNA POVERTÀ “SBALLATA”

L’Anello debole: è questo il titolo del “Rapporto su povertà ed esclusione sociale” presentato il 17 ottobre e curato da Caritas Italiana. Il testo prende in esame le statistiche ufficiali sulla povertà e i dati, riferiti al 2021, provenienti da quasi 2.800 Centri di Ascolto Caritas sparsi in tutto il territorio nazionale.

Dal Rapporto emerge, innanzi tutto, l’aumento del 7,7% rispetto all’anno precedente delle persone che hanno chiesto aiuto ai Centri di Ascolto. Purtroppo, i dati sembrano confermare anche per il 2022 la tendenza all’aumento delle richieste. «Non si tratta sempre di nuovi poveri – ha commentato mons. Redaelli, presidente di Caritas Italiana – ma anche persone che oscillano tra il dentro e fuori dallo stato di bisogno». Tra questi, coloro che pur lavorando sono poveri (lavoratori poveri) oggi sono pari al 13% degli occupati: un dato allarmante che, da un lato, dimostra come oggi non basti avere un lavoro per riscattarsi dalla povertà e, dall’altro, chiede di rivedere una certa retorica che considera la povertà semplicemente come risultato di disimpegno o scarsa propensione al sacrificio. Il Rapporto rivela inoltre che vanno ad ingrossare le fila dei poveri più gli stranieri che gli italiani, perché – ha spiegato ancora mons. Redaelli – «in una situazione di peggioramento economico i primi a entrare in difficoltà sono coloro che, come gli stranieri, hanno spesso un lavoro precario, spesso al di sotto della preparazione professionale».

Un secondo dato che il Rapporto evidenzia è la cosiddetta “povertà intergenerazionale”, vale a dire quella povertà che sembra destino inevitabile per intere generazioni: «Sei assistiti Caritas su dieci sono poveri “intergenerazionali”, uno su tre tra i nati da genitori senza alcun titolo si è fermato alla sola licenza elementare. Nel nostro Paese occorrono ben cinque generazioni perché una persona che nasce in una famiglia molto povera possa raggiungere un livello di reddito medio». In sostanza, se uno nasce in una famiglia povera, ha poche o scarse possibilità di migliorare la propria condizione economica.

Il Rapporto svela poi un altro dato che dà seriamente da pensare, cioè la presenza in Italia di oltre tre milioni di “Neet”, vale a dire giovani-adulti che non studiano, né lavorano, né ricevono una formazione: sono pari al 25,1% del totale, ben al di sopra della media europea.

Per il card. Zuppi, presidente dei vescovi italiani, il Rapporto è davvero “preoccupante”: «Questi valori sono sballati – ha affermato – perché vedere che quasi sei milioni di persone sono in povertà assoluta è un valore sballato nell’organismo del nostro Paese, che richiede dei cambiamenti, delle terapie, delle scelte, perché se continuiamo ad avere un dato così tutto l’organismo si ammala». Per Zuppi, poi, non è accettabile che il reddito di cittadinanza, percepito da 4,7 milioni di persone, raggiunga poco meno della metà dei poveri assoluti: «C’è un aggiustamento da fare – ha commentato – ma mantenendo questo impegno che deve essere così importante in un momento in cui la povertà sarà ancora più dura...».

Se è vero che l’ambito di intervento di Caritas Italiana non è quello della politica, è difficile pensare che l’azione del governo che a breve si insedierà possa prescindere dal quadro rappresentato dal Rapporto. Perché – facendo nostre ancora le parole di Zuppi – «l’anello debole lo devi rendere forte, altrimenti si spezza tutta la catena». E ciò risulta ancora più vero in un momento di crisi economica incipiente come quello che ci stiamo apprestando ad attraversare.

Alessio Magoga

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