XXI domenica del tempo ordinario
Gs 24,1-18; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69
Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!
“Segno di contraddizione”: così è designato Gesù, fin dalla sua nascita. E la storia di due millenni lo conferma. Gesù ha mostrato il volto di Dio, ma ha sconvolto l’attesa delle religioni. Le religioni in genere e il desiderio dell'uomo rinviano all’onnipotenza di Dio e tutte le divinità delle religioni sono esseri di potenza. Il vangelo rinvia invece alla debolezza di Dio, all’umiltà del suo nascondimento. Qui l’onnipotenza è quella dell’amore, fino all’annientamento di sé. In altri termini, Dio è tale che tutta la sua ricchezza e la sua libertà sono di fatto rivelate solo nella povertà e nell’obbedienza di Gesù Cristo, fino alla morte. Questo egli mette di fronte alla folla, nella sinagoga di Cafarnao: è lo stile sconcertante di Dio. E vedendo che molti cambiano strada e se ne vanno, Gesù non indietreggia e chiede ai suoi: “Volete andarvene anche voi?”. Anche voi, che siete con me da tempo sufficiente per decidere a ragion veduta se credermi o meno? Quello che è in gioco qui è la fede in lui.
Chi crede non lo fa per una volontà di credere, ma per una forma di conoscenza vera. È quella che permette, ad esempio al bambino, di sapere le cose fondamentali per la sua vita senza voler possedere tutto con l’intelligenza. Ma egli, credendo alla mamma, fa crescere l’intelligenza di ciò che ha subito percepito come vero.
“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. E noi abbiamo creduto e conosciuto che sei il Santo di Dio”. Commentava Agostino: “Non dice: abbiamo conosciuto e creduto, ma abbiamo creduto per poter conoscere. Se infatti avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e conosciuto? Che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna e, nella carne e nel sangue, ci dai ciò che tu stesso sei. Prima ci sia perciò la fiducia del credere, verrà poi il frutto del comprendere”.
La fede nell’eucaristia, nel corpo dato e nel sangue versato veramente presenti sull’altare, è sempre stata irrinunciabile nella storia della Chiesa, a costo di diventare segno di contraddizione: nessun negoziato è stato possibile su questo punto, per la Chiesa come per Cristo quel giorno, a Cafarnao. “Non si tratta di un negozio privato, lasciato all’arbitrio di ciascuno, ma di azione pubblica, ufficiale, che investe tutta la Chiesa. L'eucaristia è ciò che produce l’unione e l'amore tra i cristiani. La messa poi è essenzialmente il sacrificio della croce ripresentato in modo misterioso, l’applicazione per ogni cristiano dei meriti di Cristo. Vivere la messa è dunque unire al Cristo immolato le nostre pene, i nostri sacrifici volontari, è trasfigurare nella speranza le nostre esistenze nella gloria del Signore, aspettando il suo ritorno. Cibarsi dell’agnello immolato è condividere i suoi desideri, sposare i suoi dolori e interessi, desiderare di far nostri i suoi sentimenti, rivestirci della sua bontà e misericordia. Sì, è un’alleanza, il patto tra Dio e un povero peccatore, dono reciproco dell’uno all’altro, fusione di due cuori tanto più stretta quanto da noi meglio desiderata e preparata”. Così il beato Albino Luciani, in una omelia per la festa del Corpus Domini.
Don Giorgio Maschio