Don Lucio Marian: noi preti rischiamo di essere persone affannate
Riflessione del parroco Mansuè e Basalghelle all'assemblea del clero.
Redazione Online
09/09/2015

All'ultima assemblea del clero alcuni sacerdoti, su invito del vescovo Corrado, hanno proposto una riflessione sul loro essere sacerdoti e, in particolare, parroci. Ecco l'intervento di don Lucio Marian. 

Nella riflessione del consiglio presbiterale si parla di scelte profetiche riguardanti anzitutto la vita del prete “chiamata a valorizzare l’esperienza comunitaria, ad aver cura delle relazioni con Dio e con le persone...”. Quello che mi sento di dire io è che, nonostante esperienze positive, momenti di incontro e di fraternità, c’è ancora tanta solitudine nella vita di noi preti. Dobbiamo fare ancora tanto per favorire una maggiore fraternità e condivisione nel ministero. Per la mia esperienza, sono ancora troppe le cose di cui un prete (parroco) deve occuparsi, che non sono di sua specifica competenza e che gli impediscono di dedicarsi pienamente e serenamente “alla preghiera e al ministero della Parola”. Quando poi un prete si trova a seguire due o più parrocchie, bisognerebbe studiare come semplificare i molteplici incontri previsti soprattutto dai vari organismi di partecipazione. Troppo spesso noi diamo l’idea, più che di “uomini di Dio” di persone affannate e preoccupate di tante cose da fare, poco disponibili per stare con la gente.

In ordine alla pastorale vocazionale apprezzo le tante iniziative in atto, ma mi sembra che la prima pastorale vocazionale debba essere il rapporto personale, il dialogo, la parola detta al momento giusto: dovremmo insistere e trovare modi per la pratica soprattutto della Confessione e della Direzione spirituale. È in questi ambiti che dovremmo dedicare più tempo ed energie. Mi ha colpito l’espressione di quel documento che afferma come “la crisi vocazionale dei chiamati è anche crisi, oggi, dei chiamanti, a volte latitanti o poco coraggiosi. Se non c’è nessuno che chiama, come potrebbe esserci chi risponde?”. In questo contesto è importante il ruolo del prete ma anche dei catechisti e degli animatori i quali hanno bisogno di essere maggiormente formati e sensibilizzati in senso vocazionale. Naturalmente occorre formare anche i genitori e ciò è da tener presente nella pastorale ordinaria di ogni parrocchia, soprattutto nel catechismo e nelle attività dei gruppi, nei Grest e Campiscuola: opportunità preziose. Saranno per questo importanti gli stimoli, i richiami e gli aiuti che vengono dalla diocesi. (Ho visto che è importante affrontare il discorso vocazionale sul Seminario negli incontri ordinari con i genitori dei vari gruppi di catechismo, perché si smontano idee sbagliate e paure).

Come esperienze concrete di pastorale vocazionale, ho trovato utili: la Settimana vocazionale fatta in parrocchia dal Seminario e gli incontri fatti sempre in parrocchia con i chierichetti e con i genitori dei chierichetti animati dai sacerdoti del Seminario, credo che questi incontri vadano continuati e incrementati.

Ho trovato utile anche l’incontro della congrega foraniale con i preti del Seminario perché favorisce una maggior conoscenza reciproca nel dialogo facilitato dal piccolo gruppo che abbatte tanti pregiudizi.

Per quanto concerne la formazione del Seminario, non saprei cosa dire di particolare: credo occorra soprattutto fare attenzione a non “idealizzare” la vita del prete. Per questo c’è da lavorare per una vita comunitaria sincera, per vere relazioni fraterne con gli altri seminaristi, per un franco confronto con gli educatori e i docenti e poi per la scelta di esperienze pastorali significative nelle parrocchie.

La fase di evoluzione, di cambiamento che stiamo vivendo oggi nella pastorale, ci presenta molte fatiche, per questo noi preti dobbiamo evitare il rischio di trasmettere pessimismo, ma saper cogliere invece la speranza e la fedeltà di Dio in questo nostro tempo.

Sinceramente non so bene che cosa significhi quel che ho letto negli spunti, quel “traghettare i futuri presbiteri da una pastorale centrata sull’io a una nuova prospettiva, fondata sul “noi”. Occorre certo mettere in atto tutte le dinamiche per formare a una vita comunitaria autentica e l’abitudine a pensare insieme; ma fondamentale rimane l’aiutare i futuri preti ad essere veramente innamorati di Gesù, della Chiesa e della sua missione evangelizzatrice.

Concludendo vorrei dire che quanto più daremo testimonianza di preti fraternamente uniti, contenti e appassionati alla nostra missione, tanto più il Signore benedirà la nostra Chiesa col dono di nuove vocazioni al presbiterato.

Don Lucio Marian