
Originaria di Pianzano, Giselle Daiana Genna, 30 anni, vive a Maputo, capitale del Mozambico dal 2015. Da un anno e mezzo lavora con Medici con l’Africa Cuamm, l’ong di Padova, che da quasi 70 anni si spende per la promozione della salute in vari Paesi dell’Africa. Nello specifico Giselle si occupa di assistenza al coordinamento e ai programmi sulle malattie non trasmissibili, in particolare diabete e ipertensione. Il Cuamm è in Mozambico da 40 anni e a Beira è presente dal 2000, con uno staff di circa 35 persone fra espatriati e personale locale (medici e personale di progetto).«Nel mio amore spesso “naif” per questo Paese e per il mio lavoro – afferma Giselle –, non avevo mai contemplato il fatto di potermi trovare davanti ad un’emergenza umanitaria e di collaborare alla sua risposta».«Un mese esatto prima del ciclone – racconta – mi trovavo a Beira, in missione di lavoro per una settimana, ad accompagnare delle giornaliste, raccogliendo storie e sguardi che mi è ancora difficile restituire: quel tipo di storie che, se le tieni strette, ti riportano a terra, ti ricordano perché hai fatto questa scelta di vita e perché è importante mantenere la passione in questo tipo di lavoro. Poi, un mese dopo, quasi all’improvviso, ci siamo trovati davanti ad una tragedia che si è imposta su tutti noi, sovrastandoci». Il Mozambico è un Paese predisposto alle catastrofi naturali, per la sua posizione geografica e per i suoi quasi duemila chilometri di costa. Affrontare cicloni e inondazioni non è un fenomeno straordinario per il Paese. «Il ciclone Idai però – continua Giselle – è stato diverso: è iniziato come una tempesta, colpendo il Malawi, per poi tornare al mare e riabbattersi violentemente su Beira nella notte fra il 14 e il 15 marzo, percorrendo tutto il canale fino allo Zimbabwe, lasciando dietro di sé distruzione e disperazione. Ha coinvolto quattro province del Mozambico centrale: la provincia di Sofala è quella che ha riportato più danni».Ad oggi, si tratta di più di un milione e mezzo di persone colpite, 1600 feriti e 603 morti confermate. E poi ci sono i dispersi, i corpi trascinati via dall’acqua, di cui nessuno parla, più di 73 mila persone senza un posto dove stare, sistemati nei campi sfollati.«I primi giorni – racconta ancora Giselle – sono stati di grande agonia, a causa del silenzio, delle comunicazioni telefoniche interrotte, dell’isolamento della città. I pensieri volavano veloci in direzione Beira e distretti limitrofi, soprattutto al nostro personale locale, alle associazioni locali di mamme sieropositive e giovani attivisti con i quali avevo lavorato il mese prima e ai quali mi sento legata. Ritengo fondamentale il loro apporto alla salute ed efficace il loro approccio. E così è esplosa l’emergenza acuta, case e servizi distrutti, inondazioni, famiglie che hanno perso tutto, le ferite, le morti, la fame, la mancanza d’acqua, le malattie, il colera e la malaria». C’è stata però anche la risposta e la solidarietà: nazionale, internazionale e quella del Cuamm, umanitaria e sanitaria: «Tutti, anche da Maputo, abbiamo partecipato. Ho imparato che nella gestione di un’emergenza fare squadra è fondamentale e ciascuno di noi ha il proprio ruolo nella risposta. Da quando è scoppiata l’emergenza ciascuno di noi lavora per tre, con grande grinta e il riposo programmato per non perdere il focus. Ci sono tante cose da coordinare».«A Beira – racconta Giselle – abbiamo formato gli attivisti comunitari: gli stessi con cui lavoravamo prima e che hanno perso la maggior parte dei loro averi e delle loro case. Abbiamo dato loro acqua e cibo. Gli attivisti sensibilizzano casa per casa, famiglia per famiglia, sui sintomi del colera e hanno il compito di riconoscere i malati e riferirli ai centri sanitari e all’ospedale. Gli attivisti, inoltre, diffondono nel proprio territorio pratiche igienico-sanitarie di base, come bere l’acqua pulita, lavarsi le mani e distribuiscono kit igienici alle famiglie». Il Cuamm ha messo in piedi un sistema di tre ambulanze per le emergenze e ha due pediatre operative nella neonatologia dell’ospedale centrale di Beira. «La situazione – conclude Giselle – rimane drammatica: c’è molto da fare e ci sarà molto da fare nella ricostruzione; i registri dati sono andati persi; ci sono ancora molti sfollati e continuiamo ad avere bisogno dell’aiuto di tutti». Per maggiori informazioni e donazioni: www.mediciconlafrica.org. AM