
“Quando sarai piccola” è la canzone di Simone Cristicchi che ha ottenuto importanti riconoscimenti dal pubblico e si è collocato nella “cinquina finale” della recente edizione del Festival di Sanremo. Il testo della canzone parla della cura di un figlio che vede invecchiare e progressivamente tornare bambina la propria madre. Si intravedono, nelle parole di Cristicchi, le fatiche e le fragilità che l’invecchiamento porta con sé, con il lento e progressivo indebolimento dei propri genitori. In esse si percepiscono, tuttavia, anche l’affetto e la vicinanza di un figlio che vede, un passo dopo l’altro, invertirsi i ruoli: da figlio diventa genitore della propria madre e sente di dover restituire tutto l’affetto che ha ricevuto nel corso della propria vita.
Una canzone – quella di Cristicchi – che difficilmente lascia impassibile l’ascoltatore. In essa, molte persone hanno rivisto (e rivissuto) quanto sta accadendo o è già accaduto nelle proprie storie familiari, nell’accompagnamento dei propri genitori anziani.
Non sono mancate, tuttavia, le critiche, talune anche feroci. Vi è, infatti, chi ha accusato il cantautore romano di aver fatto leva sulle emozioni per commuovere il pubblico e così portare a casa il “risultato”. Soprattutto si sono scagliati contro Cristicchi quanti hanno visto nella sua canzone una falsificazione e una sorta di “edulcoramento” dell’invecchiare, talvolta segnato invece da decadimento cognitivo e da stati di aggressività che mettono a repentaglio l’equilibrio psicofisico delle famiglie. Il suo, quindi, sarebbe un quadro ingenuo e non realistico, che non corrisponde alla sofferenza reale che mette in crisi le relazioni familiari.
Non sta a noi difendere Cristicchi, anche se bisogna riconoscere che, da “Ti regalerò una rosa”, a “Studentessa universitaria”, sino al suo spettacolo sugli esuli istriani (solo per citare alcuni esempi), egli ha dato prova di libertà interiore e di una viva sensibilità nei confronti del tema della sofferenza delle persone, soprattutto di quelle più fragili. Come a dire che questa sua ultima canzone non sembra tanto un’operazione di marketing, quanto piuttosto la riproposizione di uno stile suo, personale.
Per quanto riguarda l’altra critica – quella di restituire un’immagine inadeguata e falsa del modo in cui una famiglia vive la vecchiaia e le patologie che essa porta con sé –, si potrebbe osservare che una canzone non ha il compito di descrivere esaustivamente un fenomeno, ma dar voce al modo in cui l’autore lo sperimenta e lo vive. Starà poi al pubblico valutare se riconoscersi o meno in quell’interpretazione. In base al successo ottenuto, probabilmente nelle parole di Cristicchi tanti si sono sentiti toccati dentro ed hanno riconosciuto almeno qualcosa della propria esperienza umana di affetto, di riconoscenza e di cura nei confronti dei propri cari, la cui vita, anche in situazioni di grave fragilità, è percepita come un valore prezioso.
Un po’ come nelle storie di Luigina ed Eros, di cui parliamo nel Primo piano di questo numero, che testimoniano cosa possa fare, pur nella drammaticità di alcune situazioni complicate e dolorose, l’affetto dei propri cari e il coinvolgimento della comunità. Senza banalizzare il dibattito in corso sulla legge circa il “fine vita”, bocciata circa un anno fa dal Consiglio regionale del Veneto ma approvata recentemente dal Consiglio regionale della Toscana, è importante oggi dare testimonianza del bene che si può fare accompagnando la vita, anziché promuovendo strade che conducono rapidamente alla morte. Accompagnare la vita, che in alcune situazioni potrà apparire una scelta ingenua (oltre che economicamente difficile da sostenere), è certo complessa ma sicuramente davvero ricca in umanità. Un po’ come la canzone di Cristicchi.
Alessio Magoga