Insegnare ad amare
La rubrica di Matteo Pasqual.
Redazione online - FC
29/10/2018

Paolo Jacolino, ex Provveditore di Padova, al termine del suo incarico, concluse il suo saluto all’assemblea dei docenti presenti con questa frase “se vuoi insegnare qualcosa a qualcuno devi fargli prima comprendere che lui è importante per te, devi valorizzare ciò che di positivo possiede: più che le strategie didattiche o gli strumenti tecnologici è l’amore che genera conoscenza. Se non ami, tutto rimane senza frutto.”

Certo una frase ad effetto, densa di significato e di esperienza di una vita passata cercando nell’altro un bene da compiere, un bene da scoprire ma anche un impegno dichiarato, una missione di vita, una riflessione autobiografica densa di senso.

Ma fuorviante. Già perché credo che molti di noi, leggendo la frase abbiano sottolineato il fatto che si trattasse di un consiglio fatto da un insegnante per altri inseganti, oggi, nel 2018, dove in molte scuole non ci sono ancora tutte le cattedre coperte, gli orari sono ancora provvisori, gli insegnanti sono già in fibrillazione, i primi voti dei compiti in classe hanno scosso qualche lieto week-end in famiglia.

Ma non è così. Rileggendo con maggiore attenzione la frase ci troveremo dentro tutti, tutti noi adulti che abbiamo la fortuna di poterci spendere per un bambino, per un ragazzo o giovane. Questo è il compito dell’adulto tout court, non solo dell’insegnate. E se continuiamo a dividere in buoni e cattivi, chi deve e chi guarda, chi è chiamato e chi no, continueremo la lunga lotta che affossa tutti, perché la guerra non ha mai un vincitore, ha solo perdenti.

Allora proviamo a cambiare le parole perché questa frase possa diventare un nostro cavallo di battaglia, e che per ogni nostra azione si possa dire che quello che stiamo cercando sia il bene nel rapporto con la persona che ho davanti e così i binomi cambiano. Non solo insegnante allievo, ma genitore e figlio, allenatore e atleta, catechista e ragazzo, politico e cittadino, religioso e fedele.

Questo ci rimanda a tre atteggiamenti che mi sembrano maggioritari: il primo è la speranza, se dentro alle istituzioni, e a quella scolastica in particolare, si può ancora, nonostante la situazione non proprio idilliaca della scuola, parlare di amore come veicolo dell’apprendimento, credo che si possa tornare a sorridere guardando al futuro con ottimismo.

Il secondo è la fiducia nelle azioni di bene che un altro adulto può e deve fare nei confronti di chi ha vicino in quel momento e non in termini contrattuali, perché l’amore non si commercializza, ma come persona che si riscopre capace e desiderosa di testimoniare la sua adultità, con il coraggio di chi sa che potrebbe anche essere ferito. E oggi di ferite educative ne vediamo davvero molte.

Il terzo atteggiamento è il riconoscimento nella nostra storia di qualcuno o Qualcuno che ci ha visto, ascoltato, accolto, voluto semplicemente per quello che siamo, senza la pretesa di cambiarci ma con il desiderio di amarci. E da questa vicinanza abbiamo imparato l’amore. Solo rientrando in noi stessi e riassaporando quest’incontro potremmo incontrare nuovamente qualcuno che ci interpella con la stessa voglia di essere amato.

Quest’incontro è unico ed inimitabile perché unica è la persona che incontriamo, unico è il momento in cui la incontriamo e unici siamo noi nel rapporto con lei. Non c’è un manuale che ci garantisca il successo perché ce ne vorrebbe uno per ogni incontro, c’è il desiderio di chi non può tenersi una scoperta così grande tutta per sé perché la perderebbe.

A noi riscoprirci amati, a noi amare!