Margot Friedlander: “Per favore, siate umani!”
Sopravvissuta all'Olocausto, si è spenta all'età di 103 anni
Agenzia Sir
14/05/2025
Margot Friedlander

“Il 5 maggio 1945, il comandante Karl Rahm lasciò il campo. I soldati tedeschi, agitati, fecero il giro dell’intero ghetto. Caricarono le loro cose sui camion, che avevano precedentemente dotato di grandi sovrastrutture. I loro averi – che erano anche tutto ciò che avevano rubato. Un soldato  raggiunse l’asta della bandiera davanti al cancello e tirò già la bandiera con la svastica. La piegò e la infilò sotto il braccio. Poi un’auto entrò a Theresienstadt. L’ho vista arrivare dalla finestra della caserma doveva vivevo. La caserma era proprio sulla strada principale che portava a Praga. Non osavo quasi affacciarmi alla finestra. Perché prima era severamente vietato guardare fuori dalla finestra da questo lato. Una jeep aperta con una grande bandiera della Croce Rossa sul cofano. Poco dopo questa bandiera sventolava su Theresienstadt”.

È il pomeriggio di mercoledì 7 maggio. Mancano poche ore all’80esimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale e, sul palco allestito nella grande sala della Rotes Rathaus, il municipio della città di Berlino, c’è Margot Friedlander. Sulla sua sedia a rotelle sembra essere tornata bambina, ma la tenacia che si legge nei suoi occhi e che prende forma nelle sue parole, è quella di una donna che, sopravvissuta alla persecuzione nazifascista e ai campi di concentramento, ha deciso di dedicare tutta la sua vita a raccontare quegli orrori, perché non abbiano più a ripetersi. Di fronte a decine di persone riunite in quella sala per ricordare la fine della guerra, Friedlander, legge alcuni passaggi della sua biografia, dal titolo “Cerca di fare la tua vita”.

“Non ci fidiamo della pace – afferma Friedlander proseguendo nella lettura –. C’è una strana atmosfera. Nessuno è felice, nessuno esulta, nessuno cambia anche solo un po’ la propria routine quotidiana. Continuiamo a lavorare come tutti gli altri giorni. Le SS sono scomparse. Ora siamo stati liberati? Come ci si sente ad essere liberati? Abbiamo aspettato troppo a lungo questo momento. Ora è arrivato e non possiamo, non vogliamo crederci. Il cancello era aperto, per la prima volta era aperto. Ma noi non ci credevamo”.

Quello è stato l’ultimo intervento pubblico di Margot Friedlander. Due giorni più tardi, il 9 maggio, quando avrebbe dovuto ricevere la Gran Croce al merito della Repubblica Federale di Germania, il più importante riconoscimento del Paese tedesco, Margot si è spenta a Berlino, all’età di 103 anni.

Chi era Margot Friedlander?

Anni Margot Bendheim nasce il 5 novembre 1921 a Berlino. Cresce a Lindenstrasse, una delle più antiche strade della città, nel quartiere di Kreuzberg. La sua famiglia possiede una fabbrica di bottoni che riforniva gli atelier di moda nel quartiere tessile ebraico. Ha 15 anni Margot, quando, nel 1936, si iscrive a una scuola di arti e mestieri di Berlino, con il sogno di diventare un’illustratrice di moda.

I nazisti sono al potere già da alcuni anni. È il 1938 quando Margot è testimone del pogrom contro i negozi e le sinagoghe ebraiche. Sua madre voleva emigrare, ma il padre, veterano di guerra, era intenzionato a rimanere. Anche questa fu una delle cause che portarono i due al divorzio. Margot e il fratello Ralph rimangono con la mamma, Auguste Bendheim.

È il 20 gennaio 1943 quando Margot stava tornando a casa e nota un uomo in piedi fuori dalla porta dell’appartamento di famiglia al secondo piano. Non potendo tornare indietro, la 21enne nasconde la stella gialla a sei punte che aveva cucita sul cappotto, supera l’uomo e prosegue verso l’appartamento di un vicino al terzo piano. Qui riceve conferma di quello che mai avrebbe voluto accadesse. La Gestapo aveva arrestato suo fratello 17enne Ralph. Mamma Auguste non era in casa al momento dell’arresto e decide di consegnarsi alla Gestapo pur di difendere il figlio.

Auguste e Ralph Bendheim vengono deportati ad Auschwitz, da dove non faranno più ritorno. Alla giovane viene consegnata la borsetta della madre. Dentro ci sono un’agenda e una collana d’ambra. C’è anche un messaggio verbale della madre: “Cerca di fare la tua vita”. Parole, queste, che segneranno l’intera esistenza di Margot.

Margot Friedlander continua a vivere da sola in clandestinità a Berlino. Si sposta spesso dopo il tramonto e viene aiutata da una rete clandestina di 16 tedeschi senza nome. Si tinge i capelli di rosso, si sottopone ad un intervento al naso per cambiare i suoi lineamenti, rimuove la stella ebraica dal cappotto, indossa una catenina con una croce e vive sotto falsa identità. Fino a quando, nell’aprile del 1944 viene tradita, arrestata e trasportata nel campo di Theresienstadt, che si trova ad una sessantina di chilometri da Praga.

È a Theresienstadt che Margot incontra quello che sarebbe diventato suo marito, Adolf Friedlander. Nel campo di concentramento la giovane è testimone dell’arrivo dei detenuti evacuati da Auschwitz, che erano in viaggio da tre mesi, da quel 27 gennaio 1945, giorno in cui il campo di sterminio era stato liberato. “Non si potevano distinguere i vivi dai morti. Persone che non avevano quasi più l’aspetto di persone. Quasi tutti indossavano un pigiama a righe”, racconterà qualche anno più tardi.

L’8 maggio 1945 ’esercito russo prende il comando del campo. Ma Margot non se ne va, per paura di essere fucilata. Quando, poco più tardi, Adolf le chiede di sposarlo, lei le confessa di non amarlo. “Per Adolf era lo stesso – racconterà Margot –. Il dolore ci ha avvicinato più dell’amore”. Le loro nozze a Theresienstadt vengono benedette il 26 giugno 1945 da un rabbino. Si spostano poi per un anno in un campo per sfollati a Deggendorf, nella Bassa Baviera. Nel 1946 si trasferiscono negli Stati Uniti, a New York, dove vivono nel Queens. Qui Margot lavora come agente di viaggio e come sarta. Entrambi avevano giurato che non avrebbero più fatto ritorno in Germania. Ma, dopo la morte del marito, avvenuta nel 1997, Margot inizia a frequentare un corso di scrittura e inizia a mettere nero su bianco la storia della sua vita e degli orrori di cui era stata testimone. Il testo cattura l’attenzione di un regista e produttore tedesco, che nel 2003 lo trasforma in un documentario. Margot torna allora a Berlino per la presentazione del film. “Mi sentivo di nuovo a casa”, dirà qualche tempo dopo. Ed è proprio quel “sentirsi a casa” che nel 2010, all’età di 88 anni, le fa prendere la decisione di tornare definitivamente a Berlino, dove tiene conferenze e incontri nelle scuole tedesche in cui racconta la sua storia di sopravvissuta all’Olocausto. Quella diviene la missione della sua vita, raccontare la sua esperienza nella Germania nazista, “perché mio fratello non ha avuto possibilità, ma i giovani di oggi sì”.

“All’età di 103 anni – si legge nel post pubblicato una settimana fa sull’account Ig della Fondazione Friedlander per annunciare il conferimento della Gran Croce al merito – Margot Friedlander rappresenta il ricordo, l’umanità e la riconciliazione come nessun altro. Per decenni ha levato la sua voce contro l’oblio, spiegando instancabilmente cosa possono fare l’odio e l’emarginazione e cosa significa credere ancora nel bene delle persone. Questo premio non è solo un’onorificenza personale, ma un segno forte di ciò che Margot Friedlander ha sostenuto per tutta la vita: “Siate umani!”. Il suo coraggio e la sua voce rimangono una missione per tutti noi”.

Margot Friedlander non ha fatto in tempo a ricevere questa prestigiosa onorificenza. “Il cancello si è aperto” e questa volta Margot ha deciso di andare.

Rimangono le parole del capo di Stato Frank Walter Steinmeier: “Ha offerto al nostro Paese la riconciliazione, nonostante tutto quello che i tedeschi le hanno fatto da giovane”. E rimangono le sue di parole: “Siamo tutti uguali. Non c’è sangue cristiano, né musulmano, né ebraico. C’è solo sangue umano. Veniamo tutti al mondo nello stesso modo. Siamo tutti uguali”.

Irene Argentiero