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Terapie mirate per guarire

I tumori stromali gastrointestinali, più comunemente conosciuti con l’acronimo GIST, costituiscono un buon esempio di come l’interazione tra ricerca di base, esame morfologico e terapia abbia permesso di fare un grosso passo avanti nell’ambito dell’innovativa terapia molecolare.

Terapie mirate per guarire

I tumori stromali gastrointestinali, più comunemente conosciuti con l’acronimo GIST, costituiscono un buon esempio di come l’interazione tra ricerca di base, esame morfologico e terapia abbia permesso di fare un grosso passo avanti nell’ambito dell’innovativa terapia molecolare.

I GIST sono tumori rari per i quali è stata stimata un’incidenza di 15 nuovi casi su 1 milione di persone l’anno. Sebbene non esista ancora un registro nazionale che riporti con precisione quanti siano i pazienti affetti da questa forma tumorale, è probabile che il numero di malati in Italia oscilli tra i 6.000 e i 7.000. Nello specifico, i GIST sono neoplasie primitive mesenchimali del tratto gastrointestinale, conosciute fin dagli anni quaranta del secolo scorso ed inizialmente classificate come leiomiomi o leiosarcomi ma hanno assunto un’identità specifica solo in seguito all’identificazione del ruolo dell’oncogene KIT. Questa molecola viene espressa preferenzialmente nelle “cellule di Cajal”, le cosiddette cellule pacemaker del tratto gastroenterico, che coordinano le contrazioni automatiche della parete; per tale ragione i GIST si sviluppano preferenzialmente nello stomaco (50-70%), nel piccolo intestino (20-30%), nel colon (10%) e in minima parte nel retto e nell’esofago (5%).

Ad accentuare la pericolosità di questo tipo di tumore è il fatto che i GIST hanno tempi di evoluzione piuttosto lenti e presentano una sintomatologia vaga. “La ricerca di una fonte di emorragia del tratto gastroenterico è la più sicura indicazione diagnostica”. – spiega il dottor Renato Cannizzaro, direttore della S.O.C di Gastroenterologia Oncologica del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano e Presidente della FISMAD (Federazione Italiana Società Malattie Apparato Digerente) – “A volte, la diagnosi avviene quasi casualmente nel corso di esami endoscopici effettuati per altri motivi. Tuttavia, esistono tecniche endoscopiche importanti per la valutazione di un GIST. Una di queste è l’ecoendoscopia che permette di conoscere le dimensioni e la localizzazione del GIST, fornendo un’utile indicazione per la terapia”.

È questo il caso di Bertrand de La Comblee, un paziente che da tredici anni combatte contro il GIST. “Bertrand è venuto a conoscenza della malattia solo in seguito ad un ricovero per setticemia” – spiega Anna Costato, presidente dell’ A.I.G. (Associazione Italiana GIST), una onlus nata per iniziativa di un gruppo di pazienti oggi impegnati nella diffusione della conoscenza di questo gruppo di patologie -  e, negli anni, è stato sottoposto a diverse operazioni chirurgiche ma ha scelto di affidarsi ad un centro di ricerca oncologico specializzato dove è stato seguito da oncologi e chirurghi con grande esperienza nello studio di patologie come la sua ed è stato uno dei primi pazienti a sperimentare con successo Imatinib, il farmaco che oggi è diventato un riferimento nel trattamento dei GIST”.

Imatinib è un inibitore selettivo del recettore C-kit, sviluppato per bloccare in maniera specifica la crescita del tumore ed indicato soprattutto nel trattamento di pazienti con GIST metastatico o inoperabile. “La scoperta di Imatinib e la sua introduzione nella cura del GIST, il primo tumore solido a rispondere ad una terapia molecolare mirata, ha rivoluzionato la storia clinica di questa malattia – ricorda Costato –. Nell’era pre-Imatibib, la prognosi per un malato in fase avanzata non poteva superare i pochi mesi. La terapia con Imatinib si è dimostrata efficace nel controllo prolungato della malattia, offrendo speranza di vita a migliaia di malati nel mondo”. Le mutazioni che interessano C-kit sono presenti nella quasi totalità dei GIST, indipendentemente dalle caratteristiche morfologiche del tumore e si è potuto osservare che l’80-90% dei GIST risponde alla terapia a base di Imatinib, con un deciso aumento della sopravvivenza a breve termine.

Imatinib ha segnato anche l’inizio di un processo di ricerca scientifica negli ultimi 10 anni che ha rivelato l’eterogeneità nei GIST – prosegue Costato –. La biologia molecolare ha evidenziato il ruolo predittivo delle mutazioni geniche primarie nei confronti delle cure farmacologiche, permettendo così di affinare le strategie terapeutiche. Guardiamo con grande speranza al prosieguo della ricerca in nuove molecole efficaci nel contrastare la malattia in tutte le sue varianti, nelle forme resistenti e soprattutto in quelle che colpiscono i bambini e i giovani adulti”.

La battaglia contro il GIST non si ferma neppure di fronte all’insorgenza di meccanismi di resistenza ad Imatinib, che possono essere affrontati con un aumento del dosaggio o con il passaggio ad una terapia di seconda linea che prevede l’impiego di sunitinib, un inibitore multichinasico efficace nei pazienti con GIST metastatico, resistente o intollerante ad imatinib. Esiste anche un trattamento di terza linea, a base di regorafenib, che può essere utilizzato in pazienti che non rispondano ai primi due o che abbiano un tumore non rimovibile chirurgicamente.

“Il GIST rappresenta un tipo di tumore che fino al 2000 non aveva trattamento.” – conclude il dottor Cannizzaro – “Una volta che questo tipo di tumore sviluppava metastasi, non c’era terapia che potesse aggredirle e la sopravvivenza era limitata. La scoperta di Imatinib ha cambiato completamente gli schemi di terapia utilizzati fino a quel momento. Adesso sappiamo come affrontare i GIST a varie dimensioni: al di sotto dei 2 cm necessitano solo di controllo, sopra i 2 cm se sono localizzati si ricorre alla terapia chirurgica e sopra i 2 cm in presenza di metastasi si impiega la terapia mirata”.

 Il GIST è modello importante di cambiamento nell’idea della terapia antitumorale: lo sviluppo di trattamenti mirati che colpiscano bersagli molecolari specifici, come fa Imatinib, è la strada del futuro nella lotta al cancro, perché in questo modo si spera di ottenere un effetto sulle cellule neoplastiche senza danneggiare le cellule normali, aumentando considerevolmente la selettività d’azione ed abbassando gli effetti collaterali, con la speranza di sviluppare un giorno una strategia di cura che, per ogni singolo paziente, preveda l’uso di un determinato farmaco per un determinato tumore.

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