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CHIESA: i coniugi Ercolini raccontano la loro esperienza nell'Uganda colpita dal Covid

Originari di Conegliano, sono responsabili del Cammino Neocatecumenale nel paese africano

CHIESA: i coniugi Ercolini raccontano la loro esperienza nell'Uganda colpita dal Covid

Da Kampala, capitale dell’Uganda, ci scrivono i coniugi Ercolini di Conegliano. Da quattordici anni fa sono responsabili, in Uganda, dell’equipe che porta avanti il Cammino Neocatecumenale insieme a don Alvaro, presbitero nicaraguense. Di questa équipe fa parte per quest’anno anche Danijel, giovane seminarista croato, che completa il periodo di itineranza necessario alla sua formazione presbiterale.

Arrivati nella “Terra dei Martiri” l’otto febbraio, non senza un po’ di timore, poco prima che la pandemia esplodesse con tutta la sua virulenza nel Nord Italia e poi in tutta Europa, subito ci siamo messi all’opera secondo il programma prestabilito. Abbiamo incominciato a visitare le comunità per salutare i fratelli e per verificare i progressi nella loro vita di fede. Soprattutto ci siamo impegnati a seguire coloro che stavano per affrontare una tappa fondamentale nel cammino della nostra fede che conduce a riscoprire il dono immenso della grazia battesimale. Questa tappa, la “Traditio symboli”, è la tappa in cui la Chiesa riconsegna il Credo preparando coloro che si sentono pronti, ad andare per le case della parrocchia ad annunciare il Vangelo.

Dato che più volte in passato, nelle nostre lettere al giornale, abbiamo spiegato in cosa consiste il neocatecumenato (esplicitato tra l’altro anche in articoli scritti da altri fratelli del  “Cammino”) non ci sembra il caso di ulteriori delucidazioni, considerando anche che da più di cinquant’anni tale Cammino è patrimonio della Chiesa universale con uno statuto proprio che lo riconosce come “un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e per i tempi odierni”, secondo le parole di Papa S. Giovanni Paolo II (Epist. Ogniqualvolta, 30 agosto 1990). Ricorderò solo che il Cammino Neocatecumenale è presente in Uganda da quarant’anni, come nella nostra diocesi. Infatti fu aperto a Conegliano nella Parrocchia dei SS. Martino e Rosa da Lima, dai Padri Giuseppini del Murialdo nel 1980. In Uganda è tuttora presente in quattro diocesi, fra cui quella metropolitana di Kampala in cui pian piano sta mettendo radici più solide anche per l’impulso creato dalla presenza del Seminario arcidiocesano “Redemptoris Mater” che prepara presbiteri di varia nazionalità per la nuova evangelizzazione.

In Uganda e un po’ in quasi tutta l’Africa, la situazione fino a venti giorni dal nostro arrivo sembrava tranquilla, ma dubitavamo che fosse la realtà. Infatti poco dopo è stato scoperto il primo caso di contagio e giorno dopo giorno i casi sono aumentati gradatamente. Il Presidente Museveni quindi, per evitare il diffondersi della pandemia è stato costretto il 18 di marzo ad imporre regole severissime (alcune delle quali seguite però assai superficialmente) accettate logicamente e integrate secondo le sue competenze dalla Conferenza Episcopale. Alcuni giorni prima, comunque, per precauzione, nei nostri incontri con le comunità avevamo già posto alcune limitazioni. Tutte le chiese sono state chiuse, e lo sono tuttora, impossibile radunarsi per qualsiasi motivo; sospesi i voli da e per l’Uganda e chiuse tutte le frontiere. ‘Dulcis in fundo’ è stato proclamato il coprifuoco dalle sette di sera fino alle sei e trenta della mattina, a volte fatto rispettare a spese della vita dei trasgressori.

Il Signore ci ha ispirato di rimanere qua sicuri che questa era la volontà di Dio. D’altra parte se non si fosse deciso ‘al volo’, si sarebbe rimasti ‘intrappolati’ a causa della chiusura repentina dell’aeroporto. Ci siamo sentiti chiamati a continuare questa missione, naturalmente modificando i programmi e riadattandoli, usando altri mezzi, alla situazione di emergenza che ci siamo trovati ad affrontare. Abbiamo sofferto un po’ con i fratelli per le limitazioni dovute al lock-down e al distanziamento sociale e soprattutto per i pericoli che minacciavano la nostra salute e per le notizie drammatiche che giungevano dall’Italia, dove stava perdendo la vita anche il nostro viceparroco Giuseppe Garbin.

Per tutti noi quest’anno la Quaresima ha acquistato veramente il senso di un tempo di deserto, dove era impossibile, di fronte a ciò che stava accadendo su tutta la terra, non farsi la stesse domande: “Perché’ questo flagello? Che senso ha tutto ciò? Che ne sarà dopo?” Non è semplice dare una risposta soprattutto perché un tarlo distruttore fa riecheggiare nel profondo di noi stessi la solita insidiosa e terribile domanda: “Dov’è Dio? Se è tanto buono, se ci ama tanto, perché permette questo male? Perché tante persone muoiono sole, abbandonate, senza poter vedere il volto e la consolazione dei loro cari?” Una cosa è certa, però, per noi cristiani o desiderosi di diventarlo: questa pandemia che sta sconquassando le nostre vite e l’economia di tutte le nazioni, che ci mette di fronte alla nostra piccolezza e impotenza, è una chiamata a conversione per la Chiesa e per tutta l’umanità. Ci dovrebbe portare a riflettere sul tipo di direzione della nostra vita. E’ giusto il nostro modo di vivere o è completamente sbagliato? Come sono le nostre relazioni? E’ giusto mettere al centro di ogni politica il denaro? Vediamo che tutto può essere ridimensionato o spazzato via in un istante a partire dalla nostra stessa vita. E poi quante altre domande ci facciamo in questo tempo che sta demolendo tante nostre sicurezze: “Come sarà il dopo? Quali saranno le conseguenze e di quale entità sulla nostra esistenza, sulla Chiesa, sul futuro della nostra società?” e via dicendo. Tutte domande che comunque perdono senso se pensiamo e crediamo che la storia la ‘marca’ il Signore secondo la sua sapienza e per un fine santo.

E’ stato e lo è ancora, un tempo molto importante e unico che nessuno dimenticherà più e che aiuterà tutti a rileggere la propria storia alla luce di questo evento provvidenziale e sconvolgente.

I tanti disagi patiti e ancor oggi affrontati, insieme ai timori per la salute e per l’aggravarsi delle condizioni economiche delle famiglie, stanno comunque aiutando e fortificando molti fratelli maturandoli nella fede e avvicinandoli di più anche a noi catechisti.

Questo tempo è servito a noi anche per conoscere meglio i fratelli, un tempo che, nonostante la sospensione degli incontri, il lockdown e le altre limitazioni ci ha aiutato per grazia di Dio a nutrire per essi più tenerezza e misericordia e, verso la loro cultura e le loro tradizioni, più rispetto e comprensione, pur richiamandoli sempre e a volte duramente alla necessità di non ‘sincretizzarla’ con il cristianesimo. Siamo rimasti sorpresi dalla loro generosità, sono stati pieni di premure, non ci hanno fatto mancare nulla e nonostante le loro difficoltà (lavoro precario o sospeso, famiglia numerosa, ecc.) ci hanno sostenuto anche economicamente. La loro spontaneità e il loro affetto ci ha commosso e ci ha confermato che ubbidendo al Signore abbiamo fatto bene a rimanere con loro anche se apparentemente senza poter far nulla…La sola nostra presenza è stata per loro una testimonianza che li ha consolati e tranquillizzati e forse per la prima volta hanno capito veramente che siamo qua senza secondi fini e desideriamo che siano liberi e felici.

Abbiamo celebrato spesso con molti di loro l’Eucaristia via streaming, altri celebravano nelle loro case la liturgia della Parola riuniti con le loro famiglie e ci hanno tenuto al corrente di come hanno vissuto il Triduo Pasquale. Chi ha potuto ha seguito a volte la messa presieduta da Papa Francesco o quella della loro diocesi. Alla Veglia Pasquale e a quella di Pentecoste, presieduta da don Alvaro, hanno partecipato numerosi in collegamento via Zoom con noi e sono stati consolati dalla più grande amarezza che  “il nemico invisibile” ha causato loro privandoli tanto a lungo del nutrimento celeste perché, nonostante l’impossibilità della comunione sacramentale, lo Spirito Santo è passato annunciando la vittoria di Nostro Signore Gesù Cristo sulla morte e generando nei cuori un’esultanza e una pace che ha li ha ripagati da tutte le fatiche e le paure vissute in questo tempo. Nelle celebrazioni domestiche la presenza dello Spirito di Gesù Risorto è stata palpabile e spesso si sono verificati fatti meravigliosi, di cui siamo a conoscenza attraverso le loro testimonianze scritte. Chiuse le scuole (tra cui le ‘famigerate boarding schools’, dove succede di tutto) e le università e interrotto il lavoro per tanti, le famiglie del Cammino si sono ricomposte e anche grazie alla preghiera in comune, alle lodi e alle celebrazioni del Triduo sono sbocciate, forse per la prima volta, relazioni sincere tra le coppie, tra genitori e figli e tra fratelli. Tante incomprensioni e giudizi hanno incominciato a guarire e diverse riconciliazioni umanamente impossibili tra coniugi (conosciamo la loro storia…) si sono realizzate dimostrando che il potere di Gesù Cristo risorto è reale e illimitato. Famiglie prima disgregate, dove ciascuno nonostante il ‘Cammino’ o la pratica religiosa in generale, viveva per se stesso, hanno iniziato a vivere una nuova vita o almeno ad intuire e un po’ a sperimentare la bellezza della comunione nella famiglia cristiana.

Un’ altra cosa importante ci sembra poi di vedere: questo tempo di prova sta aiutando diversi fratelli a liberarsi di più (ma com’è difficile!) dalla religiosità naturale che condiziona tutta la loro vita facendoli soffrire terribilmente.

A proposito di religiosità naturale, dobbiamo fare una considerazione per quanto riguarda la relazione che in Uganda ha, generalmente, la popolazione cristiana con il culto dei suoi martiri. Quest’anno a causa della pandemia è stata inevitabilmente ridotta la grande festa del 3 giugno che ha come epicentro il Santuario di Namugongo, vicino a Kampala, dove 12 dei 22 martiri, alcuni giovanissimi, furono bruciati vivi (gli altri morirono subendo altre atroci torture) per non aver abiurato la fede in Gesù Cristo e per aver difeso la loro castità dalla prepotenza del re. Purtroppo abbiamo notato negli anni passati che le celebrazioni a loro dedicate (anche la Santa Messa) puntano molto sul folklore e la spettacolarità adombrando la sacralità della commemorazione e facendo passare in secondo piano il vero significato di questa solennità. C’è in sostanza una “mondanizzazione” della loro memoria senza, generalmente, un effettivo coinvolgimento interiore. Poco rimane nel cuore e nella mente della loro testimonianza come esempio evangelico di amore a Gesù Cristo che dovrebbe fortificare le coscienze, dare coraggio chiedendo la loro intercessione e spingere alla donazione di sé. In sostanza si va fieri di loro, ci si vanta di aver dato a loro la nascita senza però che questo incida nella propria vita. Insomma: “belli e bravi, sono orgoglioso di voi ma la vostra vita non ha niente a che fare con la mia”. Impossibile non ricordare qui il famoso detto coniato da noi italiani anche per capire che in fondo tutto il mondo è paese: “fatta la festa, gabbato lo santo”. Raramente si ricorre al loro aiuto, lo abbiamo notato più volte nelle preghiere personali. “I nostri antenati sono ancora presenti ed hanno influenza nella nostra vita e devo continuare ad obbedir loro; i santi e i martiri sono morti e non hanno nessun potere su di noi”… Questo in fondo è ciò che è inculcato nel profondo dell’anima africana e che il cristianesimo è chiamato a sradicare. Papa Francesco nel visitare l’Uganda nel 2015 ha detto due cose importanti nei suoi discorsi. Ai giovani: “Ricordate ragazzi che nel vostro sangue scorre il sangue dei martiri” e a tutti, nell’ omelia della messa al Santuario: “…non ci si appropria di questa eredità (dei martiri) con un ricordo di circostanza o conservandola in un museo come fosse un gioiello prezioso. La onoriamo veramente, e onoriamo tutti i Santi, quando piuttosto portiamo la loro testimonianza a Cristo nelle nostre case e ai nostri vicini, sui posti di lavoro e nella società civile…”

Vogliamo cogliere anche l’occasione per sfatare un pensiero diffuso. Sempre si pensa all’Africa in modo sentimentale e paternalistico. L’Uganda, come tutta l’Africa, riceve molti aiuti finanziari da tutto il mondo, dalle ONG e anche dalla Chiesa occidentale, ma la maggior parte degli aiuti, a causa della corruzione, viene sottratta alle necessità della popolazione più bisognosa, inventando anche progetti che non giungono mai a buon fine. Spesso sono soltanto pretesti per richiedere denaro. Oltre a questo il capitale stanziato per la beneficenza si disperde in mille rivoli per pagare i vari gradi del personale necessario ad attuare il progetto. Anche in questa circostanza ci sono tante promesse di aiuto, che non vengono realizzate. Questa pandemia sta aggravando ancor più la situazione di povertà. Qui sono abituati a vivere col poco che hanno e non si lamentano pur soffrendo. Per noi, invece, è inconcepibile ed uno scandalo vederli vivere in questa precarietà e semplicità.

In questa situazione è ancora più urgente l’annuncio del Vangelo per portare speranza a questa generazione: “L’uomo non vive di solo pane, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio.”

Per concludere, ringraziamo il Signore per l’esperienza che ci sta facendo fare quest’anno e che ci conferma che la storia la porta avanti Lui e anche ciò che ci appare come male nasconde un bene che stanno scoprendo coloro che si fidano di Lui. A noi tutti chiamati ad essere suoi testimoni e collaboratori, chiede solo di rinunciare ai nostri progetti, a circoncidere la nostra mente e, come dice S. Paolo nella lettera agli Efesini, ci invita a pregarlo perché ci dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di Lui.

Pregate per noi e per la missione in questa Nazione.

Che la Vergine Maria, Stella della nuova evangelizzazione, e i Santi Martiri dell’Uganda intercedano per tutti noi presso il Padre per le nostre necessità e per quelle della nostra diocesi.

Giovanni e Maria Teresa Ercolini – Uganda 

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