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GIOVANI: i recenti episodi di violenza impongono una seria riflessione

Una logica dell'irresponsabilità che affonda le sue radici anche nella mentalità diffusa tra tanti adulti

GIOVANI: i recenti episodi di violenza impongono una seria riflessione

Qualche mese fa aveva fatto un certo effetto sentire parlare, sul Tg nazionale, di Vittorio Veneto per quello che si era rivelato qualcosa di più di semplici bravate da parte di un gruppo di adolescenti. Certo, a Vittorio Veneto e dintorni c’è anche molto altro e ci sono giovani in gamba impegnati. Basta guardare alle tante attività che li vedono protagonisti e cui diamo spazio ne L’Azione: i Grest delle nostre comunità e le proposte delle associazioni (AC e Scout, ma non solo) che sono state realizzate anche in tempo di Covid ci parlano di giovani e adolescenti che hanno voglia di mettersi in gioco per costruire (e non distruggere)… Tuttavia, gli episodi di cui sopra, che si stanno ripetendo in questi giorni, danno da pensare: i problemi che sembrano riguardare le grandi città, ora, li troviamo anche da noi, in provincia. Il pensiero va anche alle aggressioni di questa estate tra gruppi di giovani a Jesolo, alla baby gang di Montebelluna oppure agli atti di vandalismo contro i nastri rosa della Lilt a Conegliano (ma anche a Motta)...

Forse, come ha detto qualche sociologo o psicologo, il tempo della pandemia ha influito incattivendoci un po’ tutti, come degli animali feriti oppure reclusi troppo a lungo in un luogo chiuso o angusto. In ogni caso l’impressione è che stia emergendo, in modo abbastanza evidente, un certo malessere che attanaglia il mondo degli adolescenti: un malessere di cui è urgente essere consapevoli e farsi carico. Ed è necessario soprattutto ascoltarlo. Ma, mi chiedo, chi ha veramente tempo ed interesse per il mondo dei giovani e, in particolar modo, per gli adolescenti che rappresentano forse la fascia d’età più difficile? La domanda non è retorica. L’impressione è che gli adulti siano presi da altri interessi e non abbiano granché tempo ed energie per loro.

I ragazzi di Vittorio Veneto agivano quasi sfidando le loro vittime, come se fossero sicuri della loro impunibilità: “Siamo minorenni, non ci potete fare niente”. Sembra che non sia passata la cultura della responsabilità, cioè del “rispondere”, dando ragione di quello che si fa, nel bene come nel male. Anzi, sembra sia stata trasmessa la cultura opposta: quella dell’irresponsabilità di chi addossa le colpe – quelle proprie – agli altri. Poi mi guardo attorno e penso a quanti (anche adulti) irridono al rispetto delle leggi, convinti che il migliore sia il più “furbo” e chi trova il modo per farla franca. Esempi del genere, nel mondo degli adulti, a tutti i livelli della società, purtroppo non mancano. Questi comportamenti riprovevoli, allora, non sono solo farina del sacco di questi ragazzi: i modelli (di adulti) che circolano non sono di grande aiuto. Siamo un po’ tutti, in vario modo, coinvolti.

Il profilo Instagram, dove questi adolescenti pubblicavano le foto delle loro “bravate”, si chiamava “Blood Gang”. Blood significa “sangue”. Il termine forse vuole incutere timore ed esprimere una minaccia nei confronti degli “avversari”. O forse vuole indicare gli strettissimi “legami di sangue” e le relazioni di reciproco aiuto tra i vari membri. Il sangue, però, è anche quello che si versa per dare la vita e per fare del bene agli altri e alla comunità, mentre i vincoli di sangue sono anche quelli che ci rendono fratelli e membri di una stessa famiglia. Con l’enciclica “Fratelli tutti” papa Francesco vuole richiamarci tutti – giovani e meno giovani – a questo senso di responsabilità collettiva e diffusa: c’è un modo di essere fratelli – quello che il Papa auspica – che non è contro qualcuno, ma per il bene di tutti. Esattamente a questa fraternità, tanto difficile e proprio ora così necessaria, dobbiamo guardare.

Alessio Magoga

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