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Giovanni Paolo Ramonda a Chiarano

Ha tenuto una partecipata conferenza domenica scorsa sui temi della famiglia.

Giovanni Paolo Ramonda a Chiarano

Giovanni Paolo Ramonda, nato a Fossano (CN) nel 1960, sposato con Tiziana dal 1984, ha tre figli naturali e nove accolti. Vivono tutti insieme nella Casa Famiglia di Sant’Albano Stura, in provincia di Cuneo.Dopo la morte di don Oreste Benzi,Fondatore dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, avvenuta il 2 novembre 2007, Paolo è stato eletto dall’assemblea della Associazione come Responsabile generale, primo successore di don Oreste. Domenica 31 gennaio, nell’oratorio di Chiarano, Paolo ha tenuto una partecipata conferenza sui temi della famiglia e della vita di coppia, prendendo spunto dal suo ultimo volume: “I cinque talenti degli sposi. Provocazioni sul matrimonio e la famiglia”, Edizioni Sempre, Rimini 2014, pp. 125. Ecco alcuni passaggi della sua relazione, trascritta da registrazione e non rivista dall’autore.

Due grazie.

“Vorrei iniziare, innanzitutto, col dire grazie ai miei genitori, che sono già col Signore. Sono il più piccolo di sette figli e i miei genitori mi hanno avuto in età avanzata, quindi devo ringraziarli perché hanno avuto il coraggio di accogliermi quando sono arrivato. Genitori illetterati: mio papà aveva fatto la quinta elementare, la mamma la terza, però mi hanno voluto bene, ci hanno voluto bene, ci hanno cresciuti nella semplicità, nella laboriosità, nell’amore al Signore, nella preghiera, nell’accoglienza dei piccoli e dei poveri che già allora bussavano. Quindi il primo grazie lo voglio dire a loro. Il secondo grazie lo voglio dire a mia moglie: io sono qui perché mia moglie è a casa con i figli e adesso anche con i nipoti, perché le due figlie naturali sono sposate e abbiamo sei nipotini. Quindi un grazie anche a Tiziana con la quale sono sposato da 32 anni”.

L’incontro con l’associazione Papa Giovanni.

“Diciamo che l’esperienza della comunità Papa Giovanni è primariamente un’esperienza di famiglie, di famiglie aperte all’accoglienza, di case-famiglie che sono costituite soprattutto da coppie di sposi. Infatti, l’intuizione che aveva avuto don Oreste, parroco diocesano di Rimini, proprio alla fine degli anni ’60, nacque quando, coi suoi studenti, andava a vedere gli istituti di riabilitazione della zona dove c’erano dei ragazzi disabili. Allora andò in America per ricavare dei soldi per costruire questa casa che ancora esiste, sulle Dolomiti, dove far proporre ai giovani un incontro simpatico con Cristo, con la vita, nella condivisione. Questi ragazzi disabili venivano portati lì per trascorrere le vacanze. Quando finivano le vacanze, i ragazzi chiedevano a don Oreste: “Ma perché non ci portate a casa vostra?”…perché molti di loro non avevano più i genitori oppure i genitori non potevano accudirli, per diversi motivi. Allora don Oreste disse: “Ma siamo noi che ci dobbiamo interrogare! Siamo noi che dobbiamo cambiare ed interpellarci!”. E da lì è sorta la prima casa-famiglia nel 1973, cioè una casa-famiglia dove un papà e una mamma diventavano padre e madre di chi non aveva padre e madre e quindi anche fratelli, se c’erano figli naturali, di chi non aveva più fratelli”.

L’intuizione fondamentale di don Oreste Benzi.

“Questa è stata l’intuizione di don Oreste: il luogo migliore per la nascita, la crescita di tutti noi – ma in particolare dei piccoli, dei poveri - era la famiglia. Nel ’73 (io sono arrivato nel ’79 attraverso l’esperienza del servizio civile) è nato questo movimento di famiglie che ha il dono di accogliere queste stupende creature. In Italia siamo presenti in decine di diocesi, ma ormai siamo presenti in 35 Paesi di varie culture nel mondo. E proprio in queste culture diverse abbiamo scoperto che la famiglia fondata sul matrimonio è proprio il luogo scelto da Dio. In essa la complementarità tra uomo e donna è il fondamento voluto dal Creatore, ma anche a livello umano, antropologico e logico. Essa permette il susseguirsi della specie, in tutte le culture. Noi, quindi, abbiamo voluto che la comunità Papa Giovanni diventasse un’unica grande famiglia costituita da famiglie, ma anche da consacrati che vivono questa spiritualità. Il cuore è proprio questo”.

I piccoli e i deboli.

“Don Oreste diceva di non lasciar soffrire nessuno da solo. Abbiamo molti ragazzi disabili fisicamente per i quali ci viene chiesta l’accoglienza e proprio accogliendoli ci rendiamo conto che sono loro ad essere un dono meraviglioso. E le mamme che accudiscono questi ragazzi 24 ore su 24, tutto l’anno, sono meravigliose nel donarsi e la società ha bisogno di questa presenza. Diceva bene san Paolo quando diceva che le membra più deboli sono le più necessarie, le membra più fragili sono quelle a cui bisogna dedicare maggior attenzione. Un popolo, una società è tale in quanto sa stare al passo dei piccoli, degli umili e, anzi, un popolo che lascia indietro gli ultimi non è un popolo ma un’accozzaglia di gente dove ognuno pensa a se stesso”.

La famiglia come fondamento.

“Noi stiamo scoprendo che in questo periodo di crisi, non solo economica ma anche di valori, di identità, in cui al governo stanno discutendo per approvare le unioni civili, che però non potranno mai essere equiparate al matrimonio, la famiglia rimane il fondamento. Il camminare insieme come famiglie ci rende anche un segno forte per questa società. Nella conclusione delmio libro lancio delle provocazioni. Pensate a tutte quelle centinaia di bambini che ogni anno non nascono a causa delle interruzioni volontarie di gravidanza: avremmo circa 100 mila vite in più. Papa Francesco nell’enciclica sulla salvaguardia del creato si è domandato perché queste 100 mila vite non possono avere il diritto di vedere la bellezza del creato. Ecco allora che ogni comunità deve avere questo sguardo, questa attenzione, affinché tutte queste creature possano nascere. Abbiamo fatto la proposta che venga dato un assegno di maternità alle mamme che hanno il coraggio di dire di sì alla vita”.

Ciò di cui c’è bisogno.

“Abbiamo conosciuto tante persone, anche in carcere: si capisce che non sono mai state sulle ginocchia di un papà e di una mamma. Siamo convinti che dare un papà e una mamma sia un prevenire molti disagi. Sicuramente carceri e comunità, per esempio, per tossicodipendenti sarebbero più vuote. Ci sono degli studi che evidenziano che la relazione madre-bambino è essenziale, perché la mamma è insostituibile e questo darebbe già una risposta al tema delle unioni civili attualmente dibattute. Questa relazione fondamentale madre-bambino, la vediamo chiaramente nelle nostre comunità, le quali accolgono anche ragazze sfruttate, costrette a prostituirsi. Questo perché il cuore di Cristo ci porta in questo “anno della misericordia”ad allargare il cuore delle nostre famiglie, ognuno in base agli impegni che ha, e quando il Signore vede che doniamo un po’ del nostro tempo, della nostra realtà, ci ricompensa”.

Presenze in varie parti del mondo.

“Nel 1984,un vescovo di una diocesi africana chiamò don Oreste per proporgli di portare in Africa una sua famiglia, per mostrare alle persone del luogo qualcuno che vivesse sul serio il Vangelo. Allora lì è nata la nostra prima missione e poi se ne sono sviluppate altre anche in America Latina, in Asia… Proprio in Cina abbiamo due sorelle che accudiscono dei ragazzi disabili. Un giorno Cristina – una delle due sorelle – va al mercato e una vecchietta le si avvicina e le domanda se lei e la sua comunità fossero cristiane. Allora mi viene in mente quando Gesù dice: “Da come vi amerete vi riconosceranno”.

I giovani.

“Abbiamo dei giovani nell’Operazione Colomba, che è una presenza che abbiamo in terre di conflitto in Palestina, in Colombia e in Libano. Ci sono dei giovani che prendono parte a questa operazione, che partono dall’Italia e si dicono non credenti. E questi, una volta conosciute le condizioni di precaria sicurezza in cui vivono le famiglie di quei posti, non riescono più ad abbandonare quella realtà, quelle famiglie. Allora mi viene in mente quando Gesù disse: “Dai frutti li riconoscerete”. E ad un certo punto vogliono conoscere Cristo e poi riscoprono anche la Chiesa e dicono: “Che cosa bella!”. E quindi in quest’Anno della misericordia anche nelle nostre comunità dovrebbero esserci gesti di solidarietà, nell’anno del sinodo della famiglia, perché bisogna ripartire dalla famiglia. Senza di essa la società cadrebbe, i giovani non avrebbero più un punto di riferimento”.

Il libro: “I cinque talenti degli sposi”.

“Mi sono domandato su che cosa dobbiamo puntare? Sulla bellezza del matrimonio per farne vedere la bellezza, perché comunque il matrimonio è impegnativo come ogni vocazione. Dobbiamo pensare alla parabola dei talenti. Gli sposi hanno cinque talenti che devono scoprire. Non bisogna seppellirli e, anzi, bisogna cercarli, anche se è difficile perché siamo sempre tentati di guardare il bicchiere mezzo vuoto. Il primo talento è l’amore dello sposo per la sposa e viceversa, perché per essere buoni genitori bisogna per forza essere buoni sposi, e così i figli crescono bene. Il secondo talento è l’amore per i figli, per le creature che vi sono affidate. Il terzo talento è il lavorare sodo, nel senso di avere passione per costruire un mondo migliore, nelle nostre città, nelle nostre parrocchie, stando attenti che tutti abbiano il necessario, la famiglia prima di tutto, la casa, il lavoro. Il quarto talento è la preghiera in famiglia, credetelo: una famiglia che prega riesce ad attraversare tutte le turbolenze della vita, risulta essere fondata sulla roccia. Non serve tanto, quei dieci minuti di preghiera di coppia, di famiglia bastano a fondare la vita in Cristo. L’ultimo talento è l’accoglienza del povero, noi infatti saremo giudicati e salvati dall’amore, al di là della diversa religione”.

Giovanni Paolo Ramonda a Chiarano
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