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NONNI: si fa presto a dire festa

Il 2 ottobre in Italia si festeggiano i 12 milioni di nonni

Durante dodici mesi di pandemia i nonni, di cui il 2 ottobre ricorre la festa, hanno contribuito con oltre 38,3 miliardi ai bilanci delle famiglie. Sono infatti 12 milioni i nonni italiani che oltre a fare da baby sitter ai loro nipoti hanno sostenuto (e continuano a farlo) economicamente le famiglie dei propri figli. Senza calcolare il valore economico dell’attività di accudimento dei nipoti. Sono questi alcuni aspetti che emergono da un’indagine condotta da Senior Italia FederAnziani, i cui risultati sono stati diffusi nei giorni scorsi in occasione della conferenza stampa di presentazione della Festa dei Nonni 2021, tenutasi presso il Senato della Repubblica. Secondo l’indagine, il 92,8% dei nonni aiuta o ha aiutato economicamente figli e nipoti, facendolo spesso (48%), qualche volta (34,7%) o raramente (10,1%), mentre solo il 7,2% non lo ha mai fatto. Tra coloro che hanno aiutato la famiglia dei figli, il 41,8% ha trasferito mensilmente una cifra compresa tra i 100 e i 500 euro, l’8,2% una cifra compresa tra i 500 e i 1.000 euro, e il 7,3% addirittura ha contribuito mensilmente con oltre 1000 euro. Il 42,2% dei nonni intervistati per la ricerca ha dichiarato di avere contribuito a sostenere le varie spese per la vita dei nipoti, oltre ad averli accuditi facendo loro da baby sitter. Ci sono nonni che dedicano a questa occupazione tra le 10 e le 20 ore, altri ancora tra le 20 e le 40; il 7,4% arriva a superare le 40 ore, praticamente un lavoro a tempo pieno.

Nel tempo della pandemia quella dei nonni è stata la categoria più falcidiata,tanto che a più riprese è stato detto che occorreva fare tutto il possibile per metterla in sicurezza. “Sì, e occorrerà sempre di più impegnarsi in questo sforzo − afferma Giovanna Mantelli, segretaria della Fnp Cisl di Brescia − perché i nonni continueranno ancora a lungo a essere il più potente mezzo per la tenuta sociale del Paese”. La Segretaria dei pensionati della Cisl guarda però con preoccupazione a politiche attive per nonni e anziani lontane dalle realtà. “Le risorse che nel post pandemia sono state messe sul tavolo per politiche a favore di questa fascia d’età sono considerevoli − continua − ma non sempre le progettualità sembrano tenere conto dello stato delle cose”.

Due gli esempi che Giovanna Mantelli porta a sostegno della sua affermazione: in Lombardia si sta mettendo a punto una politica socio-assistenziale del territorio fatta di tante belle intuizioni (case della comunità, ospedali della comunità, etc) che non tengono conto, però, dell’assenza di personale (medici, infermieri, assistenti sociali) a cui affidarne la gestione, con il rischio di lasciare ancora più soli gli anziani. Il secondo: l’accesso a molte delle risorse e dei servizi messi a disposizione per fare fronte alla pandemia passa attraverso i canali informatici, “linguaggi − continua Giovanna Mantelli − che tanti anziani, tanti nonni non padroneggiano, con il rischio di esserne tagliati fuori”. Ricorda, al proposito, l’alto numero di anziani che si è rivolto agli sportelli della Fnp per chiedere un aiuto per la prenotazione della vaccinazione anti-Covid. Per cercare di ridurre queste oggettive distanza e per dare alla politica gli strumenti per mettere mano ad azioni effettivamente a misura di nonno, i sindacati bresciani dei pensionati stanno portando avanti una ricerca in collaborazione con Comune di Brescia e Università Cattolica per conoscere la capacità degli anziani nell’affrontare le situazioni problematiche e verificare quali strategie di servizi mettere in campo per far fronte a eventuali criticità, “perché − afferma Giovanna Mantelli − politiche realmente attente a tutelare quel patrimonio costituito dagli anziani non devono limitarsi a proporre servizi, ma anche a fare sì che queste siano accessibili”.

Non è solo il mondo della politica a essere chiamato a questa attenzione. Anche quello del lavoro deve riflettere sul senso della presenza di ancora tanti nonni nel ciclo produttivo. “Presto entrerà in vigore la legge che fissa l’uscita dal mondo del lavoro tra i 67 e i 68 anni, e così questa presenza sarà sempre più evidente − afferma −. Nei luoghi di lavoro gli anziani svolgono, magari senza alcun riconoscimento o specifico mandato, ruoli di tutoraggio o di formazione dei più giovani, mettendo in pratica quel senso di solidarietà intergenerazionale che hanno appreso anche attraverso la stagione delle lotte sindacali. Tutto questo deve essere valorizzato. Questo serve alla causa degli anziani, forse più di una festa che rischia di essere solo folclore”.

Massimo Venturelli (La Voce del Popolo - Brescia)

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