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"Portami lontano", inno all'amore

Intervista al giovane cantautore Enrico Nadai

"Portami lontano", inno all'amore

Ho conosciuto Enrico Nadai alcuni anni fa quando, invitato a cantare al Centro Culturale Humanitas di Conegliano, venne premiato per la sua attività in mezzo ai giovani.
Nato a Conegliano il 26 maggio 1996, in giovanissima età ha intrapreso alcune esperienze televisive, per le quali ha ricevuto il riconoscimento di Giulio Rapetti (Mogol).
Nel 2011 ha partecipato al Concerto per la pace, tenutosi a Betlemme, nella basilica della Natività.
Nel 2015 ha preso parte alla realizzazione del disco “Wake up”, album dedicato a papa Francesco, con un brano intitolato “Santa famiglia di Nazareth”.
Dopo un’esperienza in un gruppo vocale, negli ultimi due anni ha pubblicato alcuni singoli tra cui “Voglio te” – che ha raggiunto la finale di Area Sanremo – e “Portami lontano”, che dal 16 maggio è disponibile in tutti i digital store. È laureato in Filosofia all’Università di Padova, dove, attualmente, frequenta il corso magistrale.
Enrico, quali sono stati gli incontri fondamentali della tua carriera?
«Il primo incontro che mi ha segnato è stato quello con la cantante Cheryl Porter che, oltre ad essere una performer eccezionale, è anche un’attenta talent scout. In seguito, grazie al percorso televisivo intrapreso quasi un decennio fa, ho avuto modo di duettare con Michael Bublè e di ricevere le attenzioni di Mogol. Per quanto riguarda quest’ultimo, complice l’ingenuità dei miei quindici anni, non mi rendevo conto di essere di fronte ad uno degli spiriti custodi della musica leggera italiana, capace ancor oggi di far sognare generazioni di giovani. Un altro incontro fondamentale è stato quello con Dino Doni, da sempre mio collaboratore: con lui il confronto è duplice, musicale e intellettuale. La sua conoscenza mi ha fornito, in varie occasioni, i criteri orientativi per fare del mio meglio al momento della composizione dei miei brani. E poi siamo anche accomunati dall’amore per le buone letture».
Quando canti, fai riferimento a qualche modello?
«Questa è una domanda che mi ha sempre messo in difficoltà, poiché non ho mai avuto dei modelli specifici da emulare. Anzi, l’emulazione mi spaventa, così come non ho mai amato l’inevitabile accostamento della mia vocalità a quella di altri artisti. Credo che nell’arte le influenze provengano da ogni direzione: dalla vita quotidiana all’attenzione verso il panorama artistico circostante. La creazione può dirsi il nobile rigetto di quanto si è assorbito e vissuto. È una rielaborazione, secondo i sentieri singolarissimi determinati dalla nostra interiorità».
Parliamo del tuo ultimo lavoro “Portami lontano”: sei autore sia del testo sia della musica? Nel testo canti: “Portami lontano dai miei tormenti, portami lontano dai miei giorni bui portami a vedere quanto è bella Roma”. C’è qualcosa di autobiografico in questi versi?
«Sì, sono autore del testo e della musica di “Portami lontano”, tant’è che non so mai dire se – quando scrivo – nasca prima l’uno o l’altra. Come sottolineavi riportando le parole del testo, questa canzone parla di tormenti e di vie di fuga. E non può che avere un riscontro autobiografico. Se così non fosse non sarei nemmeno stato in grado di realizzarla. Nel video musicale del brano, sul finale, ho voluto inserire una citazione di Sofocle estrapolata dal finale dell’Edipo a Colono, allorché si scrive: “Una parola ci libera da tutto il peso e il dolore della vita, e quella parola è amore”. Il contesto della tragedia è differente rispetto a quello della mia canzone, ma quello che volevo comunicare attraverso la citazione è che questo sentimento può manifestarsi come un’ala protettiva a scapito delle insidie presenti nel nostro mondo».
Come è nata la copertina di “Portami lontano”?
«Sono sempre molto attento alle copertine dei miei singoli o degli album. Hanno una valenza artistica tutt’altro che superflua. La copertina di “Portami lontano” è stata condotta a termine grazie al contributo di una giovane pittrice, Miriana D’Alessandro. Come per gli arrangiamenti delle canzoni, anche per quel che concerne la veste grafica dei miei lavori cerco di rivolgermi a persone giovani che pongono al primo posto quella cosa inafferrabile e indefinibile che è la qualità».
Qual è il tuo pubblico?
«Il mio pubblico non ha un’età ben definita e noto che, in svariate occasioni, sono state persone ben più mature di me a complimentarsi e testimoniare la loro attenzione nei miei riguardi. Questo perché non scrivo canzoni per accontentare una fascia definita di ascoltatori, ma semplicemente per fotografare un istante o per trascinare un “momento interiore” – per dirla con Pavese – in tanti nodi musicali. Tuttavia devo riconoscere che ci sono persone che mi seguono da anni e la loro tendenza è quella di manifestare con parole schiette il loro consenso o dissenso per quel che faccio. Queste stesse persone hanno inoltre iniziato ad apprezzare i miei interventi extra-musicali, tra cui quelli giornalistici e filosofici».
In futuro ti vedi più impegnato con filosofia o musica?
«Mi auguro che le due cose siano capaci di continuare a camminare a braccetto per lungo tempo. C’è un impegno filosofico alle spalle di ogni canzone, specialmente dietro ad ogni testo che scrivo. Certo, preferisco non essere mai esplicitamente citazionista, anche se tra i miei brani non mancano dei riferimenti puntuali: soltanto che la musica è tutta un fluire e non è così semplice e immediato accorgersene. Bisogna infine riconoscere che è possibile fare filosofia senza fare musica, ma non è possibile fare musica senza fare filosofia».
Camillo De Biasi

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