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SANREMO: Il caso Junior Cally, "Che musica stiamo suonando ai giovani di oggi?"

Per Anzovino, educatore, il fatto interpella la capacità educativa degli adulti  

SANREMO: Il caso Junior Cally, "Che musica stiamo suonando ai giovani di oggi?"

Il 3 febbraio Marco Anzovino, educatore e musicoterapeuta, conclude a Pianzano un partecipato percorso di tre incontri per genitori di ragazzi di scuola media e dei primi due anni delle superiori su “Uso, abuso, dipendenza da sostanze in adolescenza”. Il percorso è organizzato dall’assessorato alla famiglia del Comune di Godega. Pubblichiamo una sua riflessione sul dibattito innescato dalla partecipazione al prossimo festival di Sanremo di un cantante come Junior Cally (in foto).

Non credo che il problema sia la musica Trap o Junior Cally. I cantanti da sempre hanno raccontato generazioni di ragazzi, i loro sentimenti, le loro emozioni, il loro linguaggio, il loro malessere, i loro sogni, la loro cultura. I ragazzi sono sempre andati alla ricerca di chi li capiva, chi li cantava, chi li aiutava a dar voce a qualcosa di profondo. Quasi tutta la trap oggi si fa carico di raccontare un degrado giovanile che purtroppo esiste ed è dilagante. Testi pieni di violenza, di provocazioni senza limiti e regole, di una volgarità esasperata pur di ricevere attenzione. Alzano uno specchio durissimo da guardare, da affrontare, seguito da milioni di adolescenti.

Devo dire che anch’io da ragazzino ascoltavo Vasco in cuffia che gridava frasi, come in “Colpa d'Alfredo”, con un linguaggio per nulla lontano da quello denigratorio e sessista che si ascolta oggi in molte canzoni trap o rap: oggi negli stadi sono molte le mamme, i papà, nonni e nonne che continuano a cantare quella canzone. Non mi è mai piaciuto stare con quelli che dicono "noi eravamo migliori di voi". Vasco però era il mio cantante non il mio educatore. Vasco non era l'unica voce da ascoltare. Gli educatori erano i miei genitori, i miei zii, i miei nonni, gli insegnanti, il preside, l'allenatore della squadra di calcio, il vicino di casa, il prete, il gestore del bar, l'insegnante di chitarra. La questione su cui riflettere è che oggi non sono pochi i ragazzini che vivono in una crescente regressione relazionale ed affettiva, in una assenza profonda di istruzione, di stimoli culturali, artistici, di bellezza. Non sono mai stati accompagnati ad appassionarsi al teatro, all'arte, alla grande musica, alla poesia, alla natura, alla fatica sportiva. Vivono nell'angoscia del loro abisso, senza punti di riferimento e trovano identità e conforto con chi grida una rabbia incondizionata.

Questo è quello che fanno questi cantanti trap. E noi invece che siamo chiamati ad educarli cosa gli stiamo dando? Come stiamo intervenendo? Come trascorriamo il tempo con loro? Quali risorse e talenti valorizziamo? Come li affascinano? Come li stiamo coinvolgendo? Quali emozioni ed esperienze condividiamo? La cosa preoccupante è che un'istituzione pubblica come la Rai ed un Festival pieno della nostra tradizione, come quello di Sanremo, diano spazio luci e voce a questa violenza, sdoganandola. Il problema secondo me è questo. Il mondo degli adulti non si oppone, non si differenzia anzi si fa sopraffare e “bullizzare” dai messaggi violenti di un cantante solo perché sul web ha molto seguito. Se oggi ci ritroviamo in un Paese popolato da ragazzini che non sentono nessuna differenza tra ciò che si può fare e ciò che non si può fare, tra ciò che si può dire e ciò che non si può dire, tra ciò che è grave e ciò che non lo è, che probabilmente non conoscono neanche la differenza tra “corteggiare” e “stuprare”, una responsabilità come adulti dobbiamo assumercela.

Perché significa che quella differenza non è stata mai trasmessa con parole, con gesti, con l'esempio. Lavorando da tanti anni in una Comunità Terapeutica per il recupero di ragazzi tossicodipendenti purtroppo conosco bene cosa canta uno come Junior Cally.

Oggi però mi chiedo cosa stiamo "cantando" noi a loro. Qual è la nostra voce, la nostra posizione? Loro vorrebbero tanto sentirci più autorevoli, più forti nel difendere le nostre posizioni. Vorrebbero sentire che non ci spaventiamo  di fronte al deserto buio che hanno dentro. Vorrebbero sentire che vogliamo attraversarlo con loro per accompagnarli su altre strade, altri luoghi, altre parole, altre persone. Dobbiamo entrare lì, in quel vuoto, e cominciare a riempirlo di bellezza. Costa molta fatica, ma è l'unica possibilità che abbiamo se desideriamo che ci ascoltino e che ascoltino un'altra musica.

Marco Anzovino

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