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Profughi: lettera dei vescovi di Treviso e Vittorio Veneto

I settimanali diocesani di Treviso e Vittorio Veneto pubblicano una lettera dei vescovi delle due diocesi “ai cristiani e agli uomini e donne di buona volontà” sul tema dei “migranti forzati”, tra i quali - scrivono i vescovi - “vi sono richiedenti asilo, rifugiati e migranti economici, costretti (pagando ed indebitandosi) a lasciare, in particolare, la Libia. Ad oggi, in provincia di Treviso, sono presenti circa 900 migranti, arrivati sia nel 2014 che nel 2015: in media, circa 10 persone per comune, uno ogni mille abitanti”.

 Profughi: lettera dei vescovi di Treviso e Vittorio Veneto

I settimanali diocesani di Treviso e Vittorio Veneto pubblicano una lettera dei vescovi delle due diocesi “ai cristiani e agli uomini e donne di buona volontà” sul tema dei “migranti forzati”, tra i quali - scrivono i vescovi - “vi sono richiedenti asilo, rifugiati e migranti economici, costretti (pagando ed indebitandosi) a lasciare, in particolare, la Libia. Ad oggi, in provincia di Treviso, sono presenti circa 900 migranti, arrivati sia nel 2014 che nel 2015: in media, circa 10 persone per comune, uno ogni mille abitanti”.

In particolare nella lettera i vescovi Corrado e Gianfranco Agostino commentano “qualche episodio di particolare tensione sociale” creatosi recentemente in provincia di Treviso, “anche a causa di scelte improvvide per la loro sistemazione”. “Queste persone - osservano i presuli - fuggono dalle loro terre a causa di situazioni drammatiche e invivibili, spesso ben più insostenibili di quelle che hanno spinto nel passato tanti nostri conterranei ad emigrare in altri Paesi. Si tratta in molti casi di migranti forzati, di persone che cercano sopravvivenza prima ancora che dignità”. 

“Come comunità cristiane - proseguono i vescovi - non dobbiamo rinunciare a fare la nostra parte, per quello che possiamo, senza rifugiarci dietro la vastità del fenomeno e la sua infelice gestione “a livello alto”. Abbiamo cercato strutture, mezzi, persone; invitiamo al  dialogo, alla ricerca comune di soluzioni, alla solidarietà. Del resto ci sentiamo interpellati da domande non eludibili. Sono le domande che risuonano nella Bibbia: «Dov’è Abele, tuo fratello?» (Genesi 4,9); «chi è mio prossimo?» (Luca 10,29); «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?» (Lett. di Giacomo 2,14)”. 

Segue un passaggio molto forte: “Sentiamo emergere più che mai l’interrogativo su che cosa significa, in queste precise circostanze, essere cristiani. Lo siamo davvero? Lo siamo oggi di fronte a questi “scarti” dell’umanità? Lo siamo nella maniera che ci è richiesta dal Vangelo o secondo un cristianesimo accomodante che ci siamo rimodellati sulle nostre ideologie o sulle nostre chiusure? Forse questo è il momento di verificare se abbiamo “il coraggio del Vangelo”, se l’essere discepoli di Gesù è un’esperienza che solo ci sfiora o che realmente ci penetra. Dobbiamo confessare che rimaniamo sconcertati di fronte alla deformazione di un cristianesimo professato a gran voce, e magari “difeso” con decisione nelle sue tradizioni e nei suoi simboli, ma svuotato dell’attenzione ai poveri, agli ultimi: dunque svuotato del Vangelo, dunque svuotato di Cristo. I poveri, ci ripete papa Francesco, sono «la carne sofferente di Cristo»”.

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