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Partiti: non resta che riformarli

I lavori dell'unidicesima Settimana Sociale diocesana: “I partiti servono ancora? - Crisi della rappresentanza e nuove forme di partecipazione”.

Partiti: non resta che riformarli

L'undicesima Settimana sociale diocesana, promossa dall’Ufficio della Pastorale sociale, dall’Azione cattolica, Acli, Movimento Focolari e L’Azione, si è svolta nei giorni 3, 5 e 7 febbraio scorsi. Anche quest’anno è stata ben frequentata con una media di oltre 200 persone ogni sera. Il tema era “I partiti servono ancora? - Crisi della rappresentanza e nuove forme di partecipazione”. Lo svolgimento prevedeva nella prima serata una diagnosi della crisi del sistema politico italiano, nella seconda la ricerca di nuove forme di rappresentanza e nella terza le sollecitazioni che possono venire dalla fede. La narrazione della progressiva crisi è stata affidata al professor Paolo Pombeni che ha parlato al Toniolo di Conegliano, mentre il superamento e la prospettiva di nuove forme è stata affidata al professor Damiano Palano che ha parlato al Cristallo di Oderzo. In realtà le due relazioni si sono in parte sovrapposte, perché ambedue hanno descritto la crisi e ambedue lanciato lo sguardo sul futuro. Più animato di speranza quello di Pombeni, più cauto e incerto invece quello di Palano. Presentiamo perciò le due serate insieme.

La crisi del sistema politico

Le due relazioni hanno individuato in maniera abbastanza concorde i passaggi della crisi che ha colpito i partiti e conseguentemente tutto il sistema politico. I grandi partiti di massa, fortemente strutturati e ben radicati sul territorio, con le loro visioni del mondo fortemente contrastanti gli uni dagli altri, sono andati progressivamente sfaldandosi. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa e lo stesso generale benessere raggiunto hanno svuotato le ideologie e hanno sciolto i legami culturali che li tenevano uniti. Li hanno sostituiti quelli che Palano ha chiamato “partiti pigliatutto”. Il nome dice che la loro prima preoccupazione era la quantità dei voti e per accumularli ogni mezzo era buono. I partiti si sono ritirati dal territorio, sono diventate strutture molto accentrate con pochi militanti. Diminuiti i soldi della base, sono subentrate le tangenti e la ricerca dei soldi pubblici. Inoltre c’è stato l’assalto ai posti nelle pubbliche istituzioni per assicurare buone rendite anche ai funzionari dell’apparato oltre che agli eletti in parlamento. Questa crescente corruzione è andata di pari passo con lo svuotamento di ogni ideale politico. La progressiva trasformazione accomuna più o meno tutti i partiti che sono apparsi sulla scena della cosiddetta seconda Repubblica, dopo lo scioglimento dei precedenti. Ci sono però differenze tra i due principali poli in cui si è assestato il sistema politico: quello di destra tutto coagulato attorno alla persona del leader, con forti accenti populisti, quello della sinistra, invece, più travagliato da interne divisioni e con tentativi, per lo più velleitari, di moralizzazione. Con la crisi economica si è accentuata la frammentarietà e l’instabilità politica, mentre il clima si è ulteriormente incattivito e involgarito.

La ricerca dell’alternativa

Che fare? Abolire queste macchine così degenerate? Non è possibile una democrazia senza partiti, su questo punto sono stati concordi i due relatori. Secondo Palano non è nemmeno possibile una democrazia diretta che permetta alla gente di partecipare in prima persona al governo del Paese, sfruttando le nuove tecnologie. Non resta che la riforma. Pombeni al termine della sua relazione ha sinteticamente prospettato alcuni obiettivi su cui lavorare per uscire dal marasma: non slogan e promesse miracolistiche, ma ragionevoli opzioni; governabilità ma senza stravolgere la volontà popolare con premi esagerati; rafforzare il potere del governo ma limitandone il campo; restaurare l’etica pubblica come premessa di ogni rinnovamento. Anche Palano è convinto che il male è da ricercare oltre i partiti, nella società e nel vuoto ideale che la caratterizza. Egli ha posto qualche punto di domanda anche sugli attuali tentativi di auto riforma del ceto politico e dei partiti. È difficile che una classe politica si rinnovi da sé. In genere deve essere cacciata. La storia insegna. È possibile farlo senza violenza attraverso la confluenza di due elementi: primo, il rinnovamento culturale della società, maturando con un senso civico più marcato e una volontà di partecipazione politica più decisa. Palano sostiene che nella nostra società c’è partecipazione, ma frantumata sui piccoli obiettivi locali. È necessaria una volontà partecipativa più generale. Questa si ha se contemporaneamente si verifica l’altro fattore: l’emergere di nuove personalità politiche, non compromesse con le precedenti, che sanno prospettare programmi politici che affrontano i reali problemi del Paese.

Le sollecitazioni della fede

La terza serata ha accostato il problema dal punto di vista della fede. Il gesuita Giacomo Costa, direttore della rivista Aggiornamenti Sociali di Milano, ha cercato risposte partendo dalla Esortazione di papa Francesco Evangelii Gaudium, la Gioia del Vangelo. Che c’entra la gioia promessa dal vangelo con l’azione politica? La gioia della fede non è un sentimento euforico superficiale, ma il sentirsi liberati, grazie all’incontro con Gesù, dal ripiegamento su di sé che è fonte di tristezza e ritrovare la pienezza della vita nel donarsi agli altri come ha fatto lui. L’esortazione del Papa non fa che riproporre il messaggio che costituisce il cuore del vangelo e che potrebbe essere riproposto così: «Dio vuole la felicità per tutti». Chi vive questa certezza sperimentata dall’incontro con Cristo, vince la tentazione sempre incombente del “non c’è niente da fare; niente cambia” e si sente investito da una forza che supera la paura della morte e della sofferenza e si impegna a lottare contro tutto ciò che impedisce e umilia la vita umana. Non si arresta nemmeno di fronte alle sconfitte e agli insuccessi. La decisone di giocarsi la vita sulla parola di Gesù, senza sperimentare prima il successo, è la “porta stretta” di cui parla il vangelo e che non tutti hanno il coraggio di varcare. Dalla fede ci vengono anche delle indicazioni sul modo di portare avanti, come credenti, questo impegno. Si sa che la democrazia non è una via chiara tracciata una volta per sempre, ma frutto di una ricerca continua. La Chiesa non offre scorciatoie a questo impegno, ma spinge il credente, che vive il rapporto con Cristo come decisione a donare la vita per gli altri, ad unirsi a tutti coloro che lottano e lavorano le forme e gli strumenti per la costruzione di un popolo felice. 

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