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Com'è triste una società senza figli

L'editoriale del numero de L'Azione in edicola.

Com'è triste una società senza figli

Nei mezzi di informazione vi sono, in questi giorni, almeno quattro notizie che ci dicono che, nel nostro Paese, abbiamo quanto mai bisogno della Giornata per la vita. Prima notizia: tra il 2014 e il 2015 le vendite della “pillola dei 5 giorni dopo”, la ellaOne, sono aumentate del 764 per cento, da 16.796 confezioni a 145.101. Seconda notizia: dal 1961 al 2017 il numero di bambini sotto i 15 anni – in età dell’obbligo – è passato da 12 a 8 milioni, quindi quattro milioni in meno. Terza notizia: una donna su due in età fertile non ha figli (pari a 5,5 milioni tra i 18 e i 49 anni). Quarta notizia: a livello culturale si va affermando la corrente di pensiero cosiddetta “childfree” (libertà dai figli) che promuove la denatalità in quanto senza figli si vivrebbe meglio. Ciascuno di questi quattro fenomeni meriterebbe analisi e approfondimenti, per comprenderne cause ed effetti. Presi nel loro insieme, comunque rivelano un denominatore comune: una chiusura alla vita della nostra società. Certo, la mancanza di figli in una certa percentuale è dovuta a problemi di infertilità, e queste situazioni, vissute spesso con grande sofferenza, meritano il massimo rispetto e sostegno. Ma il fenomeno della denatalità, dicono le indagini sociologiche (e conferma l’esperienza quotidiana), è dovuto per la maggior parte a ben precise scelte di vita. I bambini non sono più considerati una ricchezza, per chi li concepisce e per l’intera società, ma un intralcio alla propria realizzazione.

Ma è triste una famiglia, per scelta, senza bambini. Rischia di diventare una pianta a cui non arriva più la linfa. È triste per i pochi bambini del giorno d’oggi crescere senza fratelli, senza cugini, senza amici di paese o quartiere, immersi in una realtà che continua a invecchiare e in crescente vuoto relazionale. Ed è triste una società senza bambini. Ci teniamo tanto, a parole, alle nostre scuole dell’infanzia, alle elementari, alle società sportive, alle parrocchie, ma come possiamo pensare che possano ancora esistere queste realtà, nei prossimi quindici-vent’anni, senza bambini? C’è una preoccupazione diffusa, specie dalle nostre parti, per una presunta invasione di popolazioni straniere. Per un momento accantoniamo il ragionamento sulle cause e sulle opportunità della presenza di nuovi arrivati tra noi, e interroghiamoci sul perché questo sta avvenendo: la prima ragione è che in questo nostro mondo i vuoti tendono ad essere riempiti. In questo caso il vuoto lo abbiamo fatto noi. Nelle statistiche sulla denatalità si portano sempre i dati relativi al numero di figli per donna, e nei giornali e in televisione si semplifica: “Le donne italiane non fanno più figli”. Quasi che il generare fosse una questione riguardante solo le donne. Ma, diciamolo forte, non è così. La scelta di mettere al mondo un bambino dovrebbe essere sempre il frutto di un percorso di amore di un uomo e di una donna che insieme si assumono la responsabilità per quella spettacolare creatura che il Signore dà loro in consegna per lanciarla, come arco che scocca la freccia, nella meravigliosa avventura della vita. La mentalità che associa il figlio quasi esclusivamente alla mamma ha bisogno di una bella spallata. Una donna che sente vicino un uomo che condivide appieno la scelta di procreare, e le fatiche conseguenti, sarà sicuramente più aperta alla vita. E lo sarà ancora di più se sente di avere vicino uno Stato che fa tutto quanto è possibile per consentirle di non dover rinunciare per dieci-vent’anni a una vita fuori di casa perché mancano asili nido, servizi di trasporto, scuole a tempo pieno... In queste settimane di campagna elettorale alziamo le antenne e orientiamo le nostre preferenze a chi mette il sostegno alla natalità in cima alle priorità. Davvero – come scrivono i vescovi – oggi serve il vangelo della vita, “l’annuncio della buona notizia” che vince “la cultura della tristezza e dell’individualismo”. E moltiplica la gioia nella società.

Federico Citron

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