Editoriale
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DECIDERSI PER QUALCOSA DI IMPEGNATIVO

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

DECIDERSI PER QUALCOSA DI IMPEGNATIVO

“Bisogna proporre qualcosa di impegnativo perché le persone decidano di coinvolgersi. Per degli obiettivi troppo semplici, non si mette più in gioco nessuno”. Forse le parole non erano esattamente queste, ma il senso sì. Si tratta di una frase che mi è capitato di sentire di sfuggita e mi ha provocato molto. Certo, per proporre qualcosa di impegnativo bisogna avere i mezzi per farlo, in termini di capacità, di visione, di intelligenza, di perseveranza... Non è per tutti. Ed è sicuramente una decisione da prendere con prudenza, per evitare il rischio che la scelta sia avventata e inconcludente: come quel re, di cui parla il vangelo, che valuta bene se andare in battaglia a combattere contro un esercito che è doppio del suo.

Tuttavia, al netto delle necessarie valutazioni prudenziali, questo puntare a qualcosa di impegnativo è proprio quello che serve per uscire dalla situazione di “palude” in cui oggi sembriamo trovarci sotto diversi profili, da innumerevoli punti di vista. È proprio vero: per degli obiettivi facili, di piccolo cabotaggio, di normale routine, oggi non si muove più nessuno. Lo sperimentiamo in diversi settori, ecclesiali e non. Ci vuole un’idea chiara, una visione di futuro, un obiettivo – impegnativo – che dia un significato ai propri sforzi e su cui concentrare le proprie energie. L’alternativa è navigare a vista, senza mete e progetti, aspettando che qualcosa – non si sa cosa – accada, con il rischio che un po’ alla volta radichi sempre più un atteggiamento rinunciatario e dimissionario. Non è un caso che proprio in questi anni si stia diffondendo un fenomeno “nuovo”, che gli esperti chiamano “great resignation” (“grande dimissione”, ndr) e che spinge un numero non irrilevante di persone a lasciare il proprio lavoro, senza cercarne uno nuovo. Un fenomeno sociale – come scriveva Roberto Mauri su L’Azione del 19 dicembre – che ha degli effetti nella carica motivazionale (e “demotivazionale”) anche di chi opera nella Chiesa, sia consacrati sia laici.

Nei giorni scorsi abbiamo vissuto la beatificazione di padre Cosma Spessotto e di altri tre beati martiri salvadoregni. Abbiamo potuto seguire l’evento, che ci ha coinvolto profondamente come diocesi, anche attraverso le pagine del nostro settimanale, grazie ai social ed alle trasmissioni della Tenda Tv, grazie alle foto ed ai messaggi che la delegazione di Vittorio Veneto ci ha puntualmente inviato. Siamo rimasti colpiti dal coinvolgimento della Chiesa salvadoregna, che ha risposto in una maniera davvero bella e forte ed ha manifestato un affetto e un attaccamento nei confronti dei quattro beati davvero sorprendenti. Tutto questo ci interpella e ci pone una domanda: perché? Ripercorrendo la vita di padre Cosma, risalta con evidenza che ha messo tutto sé stesso nella propria vocazione: ha messo in gioco tutta la sua esistenza – tutte le sue energie, tutta le sue capacità – per quello che ha ritenuto l’obiettivo, l’ideale, la missione della propria vita. La sua vocazione è stata una scelta di vita totalizzante ed il suo martirio appare come il sigillo di un “dare la vita” che ha caratterizzato l’intera sua esistenza. Un obiettivo alto ed impegnativo ha catalizzato tutto il suo tempo, tutte le sue risorse. E la “sua” gente lo ha capito. Mi sembra che l’esempio di padre Cosma e degli altri martiri chieda a ciascuno di noi, oggi, di trovare il coraggio di proporre qualcosa di alto e impegnativo e, per questo, coinvolgente. In definitiva, ne va della riuscita delle nostre vite.

Alessio Magoga

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