Editoriale
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IL BUON USO DELLE “VIRGOLETTE” E LA RESPONSABILITÀ DEL LETTORE

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

IL BUON USO DELLE “VIRGOLETTE” E LA RESPONSABILITÀ DEL LETTORE

Se, sfogliando un giornale, ci si imbatte in un titolo ove si legge, posta tra due virgolette, l’espressione: “Salvini come Erode”, come è capitato di leggere recentissimamente, si è portati a pensare che qualcuno abbia esplicitamente detto – in un proprio discorso, omelia o scritto – che “Salvini è come Erode”. Insomma, si è portati a ritenere che in un modo o nell’altro questa frase sia stata pronunciata o scritta da qualcuno. Leggendo l’articolo, invece, si capisce che quell’espressione non è mai stata usata, ma che è solo un’interpretazione. E nemmeno l’interpretazione dell’articolista (l’autore dell’articolo), bensì del titolista (chi cura i titoli della pagina del giornale). Generalmente ci sono tre criteri di cui chi scrive i titoli deve tener conto: lo spazio a disposizione, il contenuto dell’articolo e – soprattutto – attirare l’attenzione del lettore. Ora in molti casi, come nell’episodio cui facciamo riferimento (vedi “La posta dei lettori”), è proprio questo terzo criterio a prevalere: non interessa la fedeltà al contenuto dell’articolo, ma colpire il lettore e invogliarlo a leggere, di fatto però dicendo una bugia, perché le parole riportate sul titolo non sono mai state dette. Se poi si aggiunge che la maggior parte dei lettori – sia dei giornali di carta sia delle testate web che si trovano su internet – non legge per intero un articolo, ma si ferma al titolo e a qualche riga iniziale dell’articolo, allora si capisce la gravità e la delicatezza della questione: quello che resta in molti lettori non è l’oggettività di un pensiero, riportato più o meno correttamente all’interno di un articolo, bensì un titolo semplificante e magari distorto e distorcente.

Qui però inizia la responsabilità del lettore, che – avvisato della parzialità e a volte della malafede dei titoli – prima di lasciarsi andare a varie forme di commenti, che purtroppo pullulano e proliferano sul web, deve fermarsi e ragionare un po’. Come prima cosa – è brutto da dire ma è così! – deve verificare la coerenza tra titolo e articolo, prendendosi il tempo necessario per la lettura del testo. Sembrerebbe tutto molto facile, invece, secondo alcuni studiosi, entrano in campo almeno altri due fattori che non rendono scontato l’esito della lettura. Il primo fenomeno – spesso citato – è quello che è stato definito “analfabetismo funzionale”: detta in termini molto semplici, è l’incapacità da parte di una fetta non piccola di persone, che sanno pur leggere e scrivere, di cogliere il significato oggettivo di un testo. Insomma, leggono ma non capiscono e, pertanto, quello che resta nella loro mente è una sintesi errata oppure – appunto – uno slogan: quello del titolo. Il secondo fenomeno è quello che è stato definito “effetto Dunning-Kruger”, dal nome dei due psicologi che lo hanno descritto per primi: si tratta di una distorsione della percezione della realtà, secondo la quale chi è meno competente su una materia è portato a pensare di saperne più degli altri. È l’esatto contrario di quanto pensava il saggio filosofo greco Socrate, che alla fine del suo percorso di conoscenza era arrivato a dire: “So di non sapere”. Oggi invece si assiste sempre più spesso all’esposizione mediatica di tuttologi che pontificano su qualsiasi argomento, con la persuasione di saperla lunga, mentre in realtà si nutrono solo di qualche slogan, di qualche titolo e talvolta anche di tanta cattiveria e rancore. Sono i famosi “leoni da tastiera” che riversano sul web i loro commenti pieni di astio e di sofferenza (personale). In conclusione, tornando al “so di non sapere” del buon Socrate, forse l’unica via per venir fuori da questo circolo vizioso di titoli (falsi) e di fraintendimento della realtà è un bel bagno di umiltà. Tanta umiltà per chi ha il delicato e affascinante compito di confezionare le notizie (e i titoli), perché comprenda che il suo è un servizio da svolgersi nel rispetto della verità e dei lettori. E tanta umiltà anche per chi legge, perché prima di lanciarsi in un qualsivoglia commento si chieda semplicemente innanzi tutto: “Ma ho capito bene?”.

Alessio Magoga

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