Editoriale
stampa

Il bel paese in disfacimento

L'editoriale del direttore de L'Azione don Giampiero Moret

Il bel paese in disfacimento

Fango nelle nostre case a causa delle piogge abbondanti e fango nei palazzi delle istituzioni a causa di una straripante volgarità che sgorga da certe forze politiche.

Occupiamoci del fango che invade le case perché siamo convinti che il secondo finirà per riversarsi su chi lo ha prodotto cancellandolo dalla mappa politica.

Ancora inondazioni e frane in gran parte del territorio tra il Piave e il Livenza. Si sono risvegliati i timori della grande alluvione del 1966 che aveva colpito in modo particolare la zona di Motta di Livenza. Le piogge di questi giorni sono state fuori della norma soprattutto per la persistenza. Sono durate più di una settimana quasi senza interruzione. Ci ha salvati da disastri più gravi il fatto che non sono state torrenziali. Però i danni ci sono stati: nella parte più bassa della diocesi per le esondazioni del Monticano e del Livenza e nella parte più alta per le numerose frane sulle nostre colline, belle ma fragili. Mentre scriviamo, il maltempo continua e speriamo che i danni non aumentino.
Si sa che il territorio dell'Italia è molto complesso e fragile. Circa l'80% è formato da montagne e colline, solcate da corsi d'acqua che possono improvvisamente ingrossarsi e diventare devastanti. Anche il territorio della nostra diocesi è a rischio, chiuso com'è tra due fiumi, il Piave e il Livenza che hanno alle spalle un grande bacino alpino. Pensiamo che cosa sarebbe diventato il Piave se invece dell'eccezionale nevicata che ha sepolto il Cadore fosse piovuto. 
Ma il territorio italiano così precario è anche mal curato. Si parla continuamente del "dissesto idrogeologico" del paese ma si fa ben poco per "metterlo in sesto". Mancanza di soldi, certamente, ma anche mancanza di convinzioni e di volontà politica di preservare il bene prezioso del territorio che è il luogo dove poggiamo i piedi e costruiamo la vita. Se si disgrega, è la vita stessa che si disgrega.
Domenica scorsa Gian Antonio Stella in un articolodel Corriere ha scritto: "Nell'ultimo mezzo secolo le frane sono state tredici volte di più della seconda metà dell'800". Tra il 1850 e il 1900, secondo studi da lui citati, ci sono state 162 gravi frane, mentre negli ultimi cinquanta anni sono state 2.204, con corrispondenti perdite di vite umane: nel mezzo secolo dell'800 sono state 614, mentre nel nostro periodo 4.103. Un bel progresso! Il fatto è che il progresso è avvenuto in gran parte ignorando gli effetti perversi sulla natura, come dire un progresso contro natura. Il processo di urbanizzazione ha fatto sorgere case ovunque, anche in quei luoghi, come nelle vicinanze dei fiumi o in terreni poco stabili, che erano pericolosi per le abitazioni. Lo sviluppo industriale ha costruito enormi distese di capannoni, le vie di comunicazione hanno squarciato monti e sconvolto valli, cemento e asfalto hanno coperto il terreno naturale. Tutte cose necessarie che ci hanno permesso di godere un benessere sconosciuto ai nostri padri. Non auspichiamo un ritorno alla vita magra del tempo in cui non c'erano abitazioni sufficienti, mancava lavoro e gli spostamenti erano una pena infinita. Quello che è inaccettabile è il modo insensato con cui è avvenuto tutto questo. Non sono stati fatti piani, frutto di studi attenti e meticolosi, per non sconvolgere equilibri delicati del terreno. L'esempio più scellerato è stata la costruzione della diga del Vajont. Sulla cura amorosa del territorio hanno prevalso insaziabili interessi economici e vergognose convenienze politiche.
Negli ultimi decenni si è cercato di frenare il disastro con opportune norme e istituzioni. Per quanto riguarda, ad esempio, la regolamentazione dei fiumi, sono state istituite nel 1989 le Autorità di Bacino che avevano lo scopo di controllare il fiume in tutta la sua estensione, evitando che ogni amministrazione locale procedesse ad opere parziali e contraddittorie. Nel nostro territorio sono stati instituiti i due grandi bacini del Piave e del Livenza che si estendono a tutto il Cadore e alla Carnia. Provvidenziali istituzioni che sarebbero efficaci, se non fossero spesso paralizzate dalla micidiale burocrazia. Si va ripetendo che è necessario intervenire per mettere in sicurezza il territorio nazionale, perché prevenire è meglio che intervenire a disastro avvenuto. Si calcola che occorrerebbero 40 miliardi di euro per un risanamento efficace e generale. Non è una cifra impossibile, se il lavoro fosse programmato lungo un periodo ragionevole. Ma l'opera di prevenzione viene sempre  accantonata, presi come siamo dalle continue urgenze per riparare i danni. Che cosa dovrebbe capitarci per convincerci che il dissesto idrogeologico del paese è una grave causa di morte e di sofferenze e una emorragia continua di risorse?

Il bel paese in disfacimento
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento