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QUAL E' LA "PACE GIUSTA"?

L'editoriale della settimana, a firma di don Gian Pietro Moret

Parole chiave: giustizia (4), armi (1), pace (18), guerra (15), Ucraina (8), Russia (6)
QUAL E' LA "PACE GIUSTA"?

Non sappiamo che cosa si siano esattamente detti papa Francesco e il presidente Zelensky durante il colloquio avuto sabato 13 maggio in Vaticano, ma la dichiarazione del presidente ucraino dopo l’incontro fa capire che la sua idea di pace diverge nettamente da quella del Pontefice: «Rispetto Sua Santità, ma non abbiamo bisogno di mediatori tra l’Ucraina e il suo aggressore. Noi invitiamo Sua Santità come uno dei leader per lavorare ad una pace giusta». La risposta del Papa potrebbe essere quella che ha pronunciato il giorno dopo al Regina Coeli: «Le armi tacciano, perché con le armi non si otterrà mai la sicurezza e la stabilità, ma al contrario si continuerà a distruggere anche ogni speranza di pace». Quale è la “pace giusta”? Pace ottenuta con la vittoria delle armi sul nemico, per Zelensky. Pace ottenuta con l’abbandono delle armi e attraverso l’accordo, per il Papa.

Pace imperfetta

Sono due visioni diverse, ma la visione che può portare ad una pace possibile nel nostro mondo credo sia quella del Pontefice, che può essere deludente perché l’accordo sembra richiedere un qualche compromesso e quindi l’accettazione di qualche ingiustizia. Una pace giusta, ma sporca. Ma è proprio questo il punto cruciale da approfondire e sul quale trovare l’accordo, per parlare poi con un linguaggio comune e trovare insieme vie praticabili di pace. Il punto è che bisogna riconoscere il limite che segna tutta la vita umana: non esiste la perfezione in questo mondo; il male è ineliminabile e ciò che possiamo fare è contenerlo il più possibile. Non si può dividere la vita nel mondo in due parti: tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra. Poche volte, nelle infinite situazioni della vita, si verifica con una certa chiarezza questa distinzione. Zelensky e Putin sono ormai entrati nella logica perversa della guerra radicale che non ammette altra soluzione che la resa del nemico

Pericoloso manicheismo

La guerra porta inevitabilmente ad una divisione manichea come ha messo bene in luce l’ultracentenario pensatore laico francese Edgar Morin in un libro piccolo, ma lucido e prezioso, uscito quest’anno (dal titolo: “Di guerra in guerra”) in cui denuncia che «ogni guerra comporta criminalità, più o meno grande secondo la natura dei combattenti; ogni guerra racchiude in sé manicheismo, propaganda unilaterale, isteria bellicosa, spionite, menzogna, preparazione di armi sempre più mortali, errori e illusioni…». Anche la guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina ha assunto rapidamente questa forma: «Si può supporre che sotto l’influsso americano, il cui scopo dichiarato è di “indebolire permanentemente la Russia”, il presidente Zelensky, che in un primo tempo riconosceva  che la sola soluzione al conflitto fosse diplomatica, divenga sempre più intransigente e veda come sola soluzione “la vittoria”». E così l’Ucraina è diventata «una preda geopolitica», oggetto di scontro globale.

Niente di assoluto “sotto il sole”

Sento già l’obiezione: ma così si tradiscono i fondamentali valori dell’occidente e si mantiene una posizione ambigua nei confronti dell’aggressore Putin. Credo che si debba scegliere - e non collocarsi nell’impossibile mezzo - dichiarandosi dalla parte degli Ucraini e contro l’aggressore russo e nello stesso tempo proclamare che la pace giusta non sia quella della vittoria armata su Putin. Penso che la scelta di stare dalla parte dell’Ucraina abbia comportato anche la necessità di fornire armi per difendersi dall’aggressione, ma che, nello stesso tempo, si avrebbe dovuto far di tutto per far cessare le armi e trovare un accordo. Non si tradiscono i valori fondamentali della nostra civiltà, se si ridimensionano certi valori che sono stati ribaditi con enfasi nel colloquio tra Zelensky e Meloni. Zelensky: «Dobbiamo arrivare fino al confine con la Crimea per piegare Putin». Meloni: «Ribadiamo il sostegno a 360 gradi all’indipendenza territoriale, alla sovranità e all’indipendenza di Kiev».Confini, sovranità nazionale, indipendenza: tutti valori che non hanno niente di sacro e di assoluto, ma che sono da riconfigurare secondo l’evoluzione del mondo che è arrivato ad uno stadio in cui tutto è connesso e interdipendente e in cui la potenza delle armi in mano a molti Stati è tale da distruggere ogni confine e ogni identità nazionale.

La grande speranza

La conclusione potrebbe essere amara: allora non possiamo sperare di vivere in pace, senza tensioni, senza paure? Tutto dipende dall’estensione che noi diamo alla nostra speranza. Se la speranza si fonda solo sulle nostre forze umane, non può andare oltre il limitato orizzonte umano che comporta sempre il limite, anche della pace; ma se apriamo la speranza ad un orizzonte che trascende quello umano, allora possiamo sperare di raggiungere una pace totale. Le parole del Papa suppongono la fede in questo orizzonte che ci è stato aperto dal Signore Gesù, il quale ha promesso di darci una pace che «non è come quella che dà il mondo». Ma può sperare di raggiungere questa pace perfetta e permanente solo chi si impegna con tutte le sue limitate forze a raggiungere la pace sempre imperfetta di questo mondo.

Don Gian Pietro Moret

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