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Spezzare il cerchio dell'odio

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

Spezzare il cerchio dell'odio

"L’intensa, ripetitiva e particolareggiata cronaca della strage di Nizza e delle sue dolorose conseguenze è musica per le orecchie di chi ha programmato l’attentato": così inizia la lettera di un nostro lettore, con cui mi trovo in assoluta sintonia. A quello di Nizza purtroppo, in questi giorni, si sono succeduti in rapida sequenza altri episodi drammatici e in tutti si è ripetuto il macabro esercizio dell’ostensione del particolare raccapricciante. Cercato dai giornalisti, certo, ma anche dai lettori, dai telespettatori e dai consumatori onnivori del web. L’effetto è proprio quello auspicato dai terroristi: incutere terrore, appunto, e conseguentemente ingigantire la paura, provocare la paralisi, far fiorire sentimenti di odio e di vendetta, creare spaccature e indebolire la coesione della nostra società e – non ultimo – suscitare l’emulazione. Qualcuno ricorderà le parole di Antoine Leiris rivolte ai responsabili della morte della moglie negli attentati del novembre 2015 a Parigi: “Non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi i miei cittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa”. Anche se sconvolto da un dolore enorme, quest’uomo ha letto con lucidità la situazione in cui ci troviamo e ha compreso quale sia la strada da percorrere: “Non avrete mai il mio odio”! Oggi a tutti – ma proprio a tutti: dal politico, all’uomo di cultura o di religione sino a chi si ritiene ai margini di ogni forma di potere – è richiesta la stessa maturità e la stessa capacità di lettura.

Davvero, a tutti è chiesto di non lasciarsi prendere dall’emotività, dalla rabbia vendicativa, dall’esasperazione e nemmeno dallo scoraggiamento e dalla paura. Non si tratta di rinunciare a dare notizie di quanto sta accadendo e di minimizzare, come se non accadesse nulla! No, ma ora più che mai è necessario comunicare in modo prudente: soprattutto in una forma diversa da come si attende chi compie questi attentati. Ancora nella lettera citata sopra, il nostro lettore si chiede: “Non sarebbe meglio che le TV si soffermassero… sui soccorsi agli immigrati, sugli aiuti che gli italiani danno a chi ha perso tutto a causa delle guerre...?” E potremmo allungare questa lista, sulla scia di quanto propone quello che viene definito “giornalismo costruttivo”. Perché non dare la precedenza nei titoli, negli articoli, nei video trasmessi in TV o sul web - ma anche nei commenti al bar e nelle discussioni tra noi ovunque ci possiamo trovare - ai gesti di solidarietà, agli atti di coraggio e alle scelte di umanità che si verificano puntualmente anche in situazioni estreme come queste? L’effetto sarebbe certamente diverso, mentre raccontare l’odio genera solo odio. Credo che condividerebbe queste considerazioni anche padre Jacques Hamel, il sacerdote di 86 anni che ha perso la vita mentre celebrava la messa nella sua chiesa a Rouen, in Francia. Una delle suore della parrocchia, che ha fatto in tempo a fuggire dai terroristi e a dare l’allarme, ha detto: “Voglio che tutti sappiano che era un prete straordinario e davvero molto buono”. E deve esserlo stato davvero, ad esempio, per il suo impegno nel dialogo interreligioso con i musulmani della vicina moschea. Per le parole calde che aveva recentemente rivolto ai suoi parrocchiani per vivere bene il tempo d’estate: “Possiamo ascoltare in questo tempo l’invito di Dio a prenderci cura di questo mondo per renderlo - là dove viviamo - più caloroso, più umano, più fraterno”. E concludeva: “Un tempo anche di preghiera, attenti a ciò che accade nel nostro mondo, in questi tempi”. Anche noi siamo chiamati ad essere attenti a quello che sta accadendo e a leggere con lucidità quanto stiamo vivendo, per spezzare il vizioso cerchio dell’odio.

Alessio Magoga

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