
La Marca Trevigiana si conferma una delle colonne portanti della manifattura veneta, con un valore aggiunto per abitante pari a 10.338 euro, dato che colloca la provincia al secondo posto in Veneto e all’ottavo in Italia. Una performance che vale il doppio rispetto alla media nazionale, ferma a 5.210 euro per abitante.
Ma dietro ai numeri positivi si cela una crescente preoccupazione per un insieme di fattori recessivi che minacciano la competitività delle imprese locali. A lanciare l’allarme è Armando Sartori, presidente di Confartigianato Imprese Marca Trevigiana, che sottolinea:
«Serve una visione strategica che accompagni le imprese e le protegga in questa nuova fase di incertezza. È una responsabilità dell’Unione Europea e del Governo italiano».
I fattori di rischio
L’Associazione ha condotto un’analisi approfondita sulle principali criticità che gravano sul settore manifatturiero trevigiano:
- Energia: nei primi sei mesi del 2025, i costi dell’energia elettrica e del gas sono stati superiori del 52,7% rispetto alla media del 2021, anno precedente allo scoppio della crisi energetica. La volatilità dei prezzi, legata alle tensioni geopolitiche, continua a mettere sotto pressione i bilanci aziendali.
- Credito: la stretta creditizia in corso è tra le più severe nella storia dell’Unione monetaria europea. Nel 2024, in Veneto, le piccole imprese hanno affrontato tassi d’interesse medi dell’8,93%, contro il 6,09% applicato alle medie e grandi imprese: una differenza di 2,84 punti percentuali che penalizza fortemente le realtà più piccole.
- Crisi dell’automotive e rallentamento tedesco: il comparto automobilistico è in difficoltà e l’impatto si estende a tutta la filiera meccanica. La Germania, principale partner commerciale, ha chiuso il 2024 con un calo delle importazioni dal trevigiano pari a -202,4 milioni di euro (-8,9%), aggravando le prospettive di ripresa.
- Moda in crisi: il settore moda trevigiano mostra segnali strutturali di declino. Nel 2024, l’export ha registrato flessioni significative: -5,7% nei tessuti, -8,8% nell’abbigliamento e -12,7% nella pelletteria. La produzione del 2025 rimane ancora inferiore di oltre un terzo rispetto ai livelli pre-pandemia del 2019.
- Svalutazione del dollaro e dazi USA: tra gennaio e giugno 2025 il dollaro ha perso l’11,2% sul cambio, danneggiando l’export. A ciò si aggiunge l’incertezza crescente sui possibili nuovi dazi statunitensi, che rischiano di colpire duramente la manifattura italiana, in particolare quella delle micro e piccole imprese, che proprio in Veneto registra la maggiore concentrazione occupazionale in Europa.
«Nella prima parte del 2025 si è registrata una timida ripresa», conclude Sartori, «ma resta fragile. Abbiamo bisogno di strumenti per diversificare i mercati, incentivare l’innovazione, e investire in infrastrutture ed energia. Solo così potremo rafforzare la resilienza del nostro sistema produttivo, che ha già dimostrato di saper affrontare le sfide globali con competenza, flessibilità e radicamento nel territorio».