SCONTRO TRA POTERE POLITICO E POTERE GIUDIZIARIO
L'editoriale della settimana, a firma di don Gian Pietro Moret
Redazione Online
23/10/2024

Lo scontro tra il governo e la magistratura, acutizzato in questi giorni per le vicende relative al centro di “trattenimento” migranti in Albania, dura ormai da molti anni, almeno fin dai tempi di Berlusconi, e rischia di diventare cronico, con pericolo di morte della democrazia. Le divisioni dei poteri dello Stato è una colonna portante del governo democratico. Su questo devono tutti concordare, progressisti e conservatori, se si vuole rimanere nell’area dei governi democratici e nell’osservanza della Costituzione.

La divisione dei poteri fu un passo decisivo nella perenne ricerca di come governare al meglio la vita comune. Il potere costituito ha in sé stesso la tendenza a diventare assoluto concentrando in sé tutta la forza possibile. Nei primi grandi imperi il sovrano si proclamava un “dio”. All’alba dei tempi moderni, questa limitazione divenne efficace con il ricupero del concetto di potere della classicità. Essa riteneva che il potere non doveva essere oggetto di rapina del più forte o una elezione divina. Risiedeva nell’insieme che costituisce un popolo ed era il popolo che doveva designare con il voto individuale chi doveva governare. Come qualcuno disse efficacemente, si scoprì che «era meglio contare le teste che tagliarle». Nel contempo si è fatta valere più chiaramente la distinzione, proclamata da Gesù, tra Dio e Cesare, tra il Regno di Dio e i regni del mondo, non comparabili, ma nemmeno in contrasto tra loro. Infine, ci si è resi conto della necessita che il potere politico fosse diviso in istituzioni diverse per evitare la sua degenerazione violenta: il parlamento che fondamentalmente fa le leggi, il governo che le mette in atto e la magistratura che le applica e le difende. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus Annus, ha riconosciuto l’opportunità di questa divisione: «È preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri (…) che lo mantengano nel suo giusto limite: è, questo, il principio dello “Stato di diritto”, nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini» (CA, 44).

Necessità dell’armonia

Nella diversità c’è ricchezza ma anche possibilità di contrasto. La ricchezza svanisce, quando non si riesce a trovare l’accordo tra i diversi. Ognuna delle tre istituzioni pur affermando la propria autonomia, deve cercare l’armonia con le altre perché costituiscono il potere dell’unico Stato. Lo ha detto con chiarezza il presidente della Repubblica, Mattarella, domenica scorsa a Bari: «Tra le istituzioni e all’interno delle istituzioni la collaborazione, la ricerca di punti comuni, la condivisione delle scelte sono essenziali per il loro buon funzionamento e per il servizio da rendere alla comunità». «Vi sono in particolare – ha aggiunto – dei momenti nella vita di ogni istituzione in cui non è possibile limitarsi ad affermare la propria visione delle cose, approfondendo solchi e contrapposizioni, ma occorre saper esercitare capacità di mediazione e di sintesi». Questa «attitudine – ha concluso – è parte essenziale della vita democratica».

Momento di crisi

È difficile calibrare perfettamente i tre poteri. Per quanti sottili bilanciamenti si inventino, non si riuscirà ad evitare i conflitti se nella comunità è scarso lo spirito democratico che si nutre della qualità morale delle persone. Queste qualità sono state magnificamente proclamate da Norberto Bobbio e sono state esposte domenica scorsa a vent’anni dalla morte, in una targa, all’ingresso della casa in cui è vissuto: «Ho imparato a rispettare le idee altrui, ad arrestarmi davanti al segreto di ogni coscienza, a capire prima di discutere, a discutere prima di condannare». Molto scarsi sono questi atteggiamenti nel contesto attuale del nostro Paese. In una buona parte degli italiani si avverte la noia per la democrazia, per le sue lentezze e lungaggini; nel governo, la frenesia dei risultati immediati che non ammette ostacoli; nella magistratura, la difesa eccessiva dell’indipendenza che la spinge all’attacco. Una miscela micidiale di atteggiamenti.

Credo che l’origine dei mali sia da individuare nella disaffezione crescente per una sana democrazia, che ha aperto la strada ad un governo che è incline ad un uso forte del potere, che mal sopporta la vigilanza della magistratura, la quale ha reagito in maniera inappropriata scomponendosi in correnti di sapore politico che la snaturano. Il tentativo di zittire i giudici è il primo sintomo della deriva autocratica. Siamo in un momento di crisi. Dobbiamo stare all’erta.

Don Gian Pietro Moret