BENI ECCLESIASTICI DISMESSI: una progettazione partecipata per ripensarne il significato
In margine ad un convegno tenutosi nei giorni scorsi
Annalisa Fregonese
14/11/2025
Un esempio di riprogettazione applicato ad una unità pastorale

 Agli Istituti Filippin di Pieve del Grappa il convegno “Ripara la mia casa. La Chiesa tra welfare, partecipazione e innovazione sociale” riunisce architetti, urbanisti e dirigenti scolastici per riflettere sul futuro degli immobili ecclesiastici. Un incontro per trasformare il disuso in opportunità, è tra i primi di questo genere in Italia. La ricerca: sono quasi cinquecento gli immobili conosciuti nella Diocesi di Treviso, ma molti di più quelli da rivelare.

La Chiesa è chiamata oggi a rileggere il proprio patrimonio non solo come insieme di edifici, ma come rete di relazioni, opportunità e responsabilità condivise. Da questa consapevolezza nasce il convegno “La Chiesa tra welfare, partecipazione e innovazione sociale”, tenuto agli Istituti Filippin di Pieve del Grappa, nel Trevigiano, lo scorso 13 novembre curato da Anna Manea, dottoranda all'Università Iuav di Venezia, con la collaborazione di “593 Studio”, società di ingegneria, e gli Istituti Paritari Filippin.

L’appuntamento ha inteso affrontare il tema cruciale del futuro socio-urbano dei beni ecclesiastici in Italia, proponendo la progettazione partecipata come metodo etico e pastorale per restituire vita agli spazi della fede. È una delle prime volte che in Italia si organizza un evento di questo genere facendo una lettura critica del riuso e proponendo la progettazione partecipata in cui le voci di accademici, che studiano questo fenomeno, si uniscono quelle dei professionisti e dei protagonisti di chi agisce e vive concretamente questi spazi.

«Dal censimento elaborato dalla CEI, emergono 499 beni culturali architettonici censiti nella Diocesi di Treviso», dichiara Anna Manea, curatrice del convegno e dottoranda di ricerca per l'Università Iuav di Venezia. «Gli immobili censiti nella Diocesi di Treviso sono nella quasi totalità edifici di culto. Secondo quanto rilevato dalla mia ricerca, condotta nell’ambito di un dottorato co-finanziato da “593 Studio” e dagli Istituti Filippin, fino ad ora, gli edifici di culto corrispondono a circa il 20%. Il rimanente è invece composto da oratori, strutture parrocchiali, campi sportivi, spazi di aggregazione. Questo dovrebbe far ragionare sul fatto che, per iniziare a intraprendere nuovi cammini, sia necessario partire da un'analisi molto più chiara di quali spazi siano effettivamente a capo degli enti ecclesiastici e religiosi. Prendere l'occasione di ricostruire questo quadro con le comunità che vivono il territorio, che è quello che stiamo facendo, diventa il punto di partenza anche per ripensare il futuro in modo condiviso».