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MEDIAZIONE UMANISTICA: è mancata Jacqueline Morineau, fondatrice del "Centro di Mediazione"

Mercoledì 26, una messa in suffragio a Vittorio Veneto, dove era stata diverse volte

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MEDIAZIONE UMANISTICA: è mancata Jacqueline Morineau, fondatrice del "Centro di Mediazione"

Fondatrice del “Centro di mediazione e di formazione alla mediazione” (CMFM) di Parigi, lo scorso 15 luglio Jacqueline Morineau è morta all'età di 88 anni. Mercoledì 26 luglio, alle 19.30, sarà celebrata una santa messa in suo ricordo, presso il Campus San Giuseppe a Vittorio Veneto. Nel rispetto delle sue volontà, scrivono i mediatori umanistici e gli associati de “La voce” di Vittorio Veneto che hanno organizzato l’incontro, si invitano i partecipanti a vestire con abiti colorati. Seguirà un momento conviviale. Per informazioni: Sara Dall’Armellina (348 7127092); Associazione “La Voce” (www.lavoceaps.altervista.org ). 

Nel marzo del 2018 (nella foto, scattata in quell'occasione, è la prima da sinistra, insieme a Roberto Sonego e Sara Dall'Armellina), Jacqueline aveva incontrato a Vittorio Veneto i membri dei gruppi presenti sul territorio italiano che si ispirano alla “mediazione umanistica”: una modalità di approccio e di risoluzione di conflitti, ideata dalla stessa Morineau. Solo in Francia, il CMFM ha effettuato, migliaia di mediazioni nei campi del penale, sociale, familiare e scolastico. Di seguito l’intervista che ci aveva rilasciato e che era stata pubblicata nel numero de L’Azione del 18 marzo 2018. 

Jacqueline Morineau, che cos’è la mediazione umanistica?

«Semplicemente è l’incontro tra l’uomo e la sua ricerca di vita. Oggi l’uomo è diventato un piccolo robot, che fa molte cose ma perde il senso della sua vita. Di questo processo disumanizzante l’uomo non ha consapevolezza e così il bisogno di essere sé stesso rischia di sparire, a causa della priorità del fare e dell’avere. Rischiamo l’autodistruzione della nostra umanità: un senso di umanità che abbiamo costruito dai tempi antichi ed è frutto di tanti anni sforzi. Il termine “mediazione” appare per la prima volta nelle tavolette dei Sumeri (l’attuale Iraq e Siria): già lì c’era una ricerca per dare all’uomo la possibilità di essere veramente “uomo”. Il termine “mediazione” inoltre era seguito dalle parole “Dio” e “uomo”: per me questa è l’origine di tutto. Oggi la parola Dio è evitata e negata. Questa negazione della realtà divina e del legame tra creazione e creatore ha condotto l’uomo ad una società che vive un’angoscia permanente, in una sorta di vuoto. Abbiamo creato una società del vuoto che ha perso il senso della sua dimensione e arriva alla sua autodistruzione. Questo pericolo non è una questione locale, che riguarda i rapporti nella famiglia o tra vicini: si tratta di un problema planetario».

La mediazione umanistica cosa si prefigge?

«Prova a rispondere a questo vuoto: al vuoto dell’anima e al grido dell’uomo. Essa offre uno spazio per questo grido e per dare voce a questa sofferenza e anche per andare più lontano. Dico “prova”, perché si tratta di una modalità molto umile. Oggi la società riduce l’uomo a due elementi: il corpo e le emozioni. In passato invece l’uomo era pensato come corpo, anima e spirito. Oggi per tanti lo spirito è sparito: semplicemente mi riferisco alla dimensione profonda che costituisce ognuno di noi. Tutto oggi si concentra sulle emozioni: la terza parte è dimenticata: lo spirito non esiste. Ebbene, la mediazione umanistica prova a consentire all’uomo di avere accesso a tutte e tre le dimensioni che lo compongono».

Com’è giunta a recuperare la dimensione spirituale?

«Ciò deriva senza dubbio dalla mia formazione classica. Quando, 35 anni fa, ho iniziato il percorso della mediazione, ero lontana sia dalla fede sia dalla Chiesa. Ho affrontato la prima esperienza penale nel 1983 ed ho ben presto avuto bisogno di sviluppare un approccio per incontrare i casi di violenza che mi venivano affidati. Sapevo che il mondo anglosassone negli anni ’70 aveva sviluppato una forma di mediazione basata sulle emozioni. Ho capito subito che questa però non era la risposta: c’era una dimensione “altra” da attivare per arrivare ad aprire un cammino di trasformazione. Avevo conosciuto personalmente questa trasformazione attraverso le tre dimensioni corpo, emozione e spirito. Allora ho creato - senza voler creare niente - un modo di incontro in cui sono incluse tutte e tre le dimensioni. Ho capito che bisognava dare la parola al corpo, all’emozione e anche alla dimensione superiore, quella più interiore. E ne ho visto i risultati. La mediazione di tipo anglosassone punta alla risoluzione dei conflitti attraverso delle tecniche: con questo metodo invece si cerca la guarigione delle persone attraverso la trasformazione. La mediazione umanistica è un incontro di verità, che è necessario per accettare di fare un cammino di trasformazione. La mediazione non è una fine ma un inizio: uno spazio che dà la possibilità di fare un incontro di verità con sé stessi. E questo incontro apre la porta a tutto. La mediazione è una porta che si apre».

Ci sono delle affinità tra mediazione umanistica e Vangelo. In parte, questo è legato alla sua esperienza personale?

«La mia esperienza personale viene dalla lotta tra la morte e la vita: venivo dalla morte e ho cercato la vita, per vivere e non sopravvivere. Ho attraversato momenti molto dolorosi sin da ragazza. Allora amavo l’arte e soprattutto l’arte greca. L’espressione delle sculture mi parlava. Nell’arte c’era il mistero: un’apertura verso un altro mondo che poteva essere per me una piccola luce. Ho studiato archeologia e fu quella la mia prima àncora di salvezza: l’approccio alla cultura classica mi ha aiutato e ho ritrovato il concetto di uomo come corpo, anima e spirito. Poi mi sono avvicinata alle filosofie orientali e le ho praticate per molti anni. Poi grazie ad un prete, un po’ alla volta mi sono avvicinata alla Chiesa. Tanti dei nostri cambiamenti sono legati a situazioni di crisi e di sofferenza, che attuano dei passaggi da una forma di morte a uno spazio di vita. Mi sono sempre piaciute le chiese per il silenzio e la bellezza. Un giorno, in momento di crisi, sono entrata verso le cinque della sera e mi sono seduta nella chiesa di Saint Etienne du Monde a Parigi, vicino a casa mia ho sentito un po’ di pace. Celebravano la messa della sera: ho sentito le parole dei Salmi, che erano un eco al mio vissuto: mi sentivo rispecchiata da quelle parole. Il giorno dopo sono ritornata e mi sono avvicinata un po’ di più. Era il Venerdì Santo: ho ascoltato la passione di Cristo e ne ho rivissuto la sofferenza e il dolore. In quel momento Cristo è entrato in me. Ho capito che la mia vita era per lui e io ero al suo servizio. Da quel momento ho iniziato a riscoprire la mia religione. E con sorpresa, quando ho letto i vangeli, ho capito che il modo di mediazione che avevo a poco a poco sviluppato per incontrare la sofferenza e la violenza era tanto simile al modo di fare di Gesù: non giudicare, ascoltare, dare la parola, fare silenzio, amare. Tutto questo era radicato nella pedagogia di Gesù. Amare il prossimo come se stessi: questo è in definitiva la mediazione umanistica». AM

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