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MONDO: il filo rosso tra G20 e COP26

Sempre più strategico il "multilateralismo"

MONDO: il filo rosso tra G20 e COP26

C’è un filo rosso che lega Roma con Glasgow: il G20 (il Gruppo dei 20 Paesi più industrializzati del mondo che si è riunito in Italia il 30 e 31 ottobre scorsi, ndr) con la Cop26 (la 26ma Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici attualmente in corso in Scozia, ndr). Non a caso i due eventi si susseguono nel calendario. Gli appuntamenti, diversamente assortiti per partecipanti e obiettivi dichiarati, mostrano caratteri comuni. Il primo dei quali è il "multilateralismo", che potremmo definire come la pratica di coordinare politiche internazionali in gruppi di tre o più Stati ed è l'opposto del bilateralismo (che invece prevede accordi "privati" tra due Stati, ndr). Per il premier italiano Mario Draghi il multilateralismo è “la migliore risposta ai problemi che vediamo oggi. In molti sensi l’unica risposta possibile”.

Un elemento irrinunciabile è proprio questo: avere una visione politica ed economica globale, che si faccia carico della complessità dei problemi, del loro intersecarsi, provando a fornire risposte credibili e realmente percorribili. Si tratti di economia sostenibile, di risposta al cambiamento climatico, di tassazione e sistema finanziario internazionale, di lotta a questa e alle prossime pandemie, di sviluppo dei Paesi arretrati, di migrazioni, di contrasto al terrorismo, di costruzione di una pace irreversibile nelle regioni martoriate del pianeta, di rispetto dei diritti umani e dell’uguaglianza di genere in ogni angolo della Terra.

Il documento finale del G20, pubblicato lo scorso 31 ottobre, si sofferma su diversi di questi punti. A partire dall’impegno a limitare il riscaldamento globale (come, ad esempio, confermare l'Accordo di Parigi, mantenere l'aumento della temperatura globale sotto i 2 gradi, proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5 gradi ma senza indicare una data precisa), fino alla Global Minimun Tax (la tassa pensata per le multinazionali e i colossi del web come Facebook e Amazon), passando per i 100 miliardi di dollari l’anno a favore delle nazioni povere.

Ora la palla passa alla Conferenza delle Nazioni Unite (la Cop26, appunto) che si tiene in terra scozzese dal 31 ottobre al 12 novembre e che, pur concentrandosi in particolare sui temi ambientali, dovrà per forza di cose tener conto di tutti questi altri aspetti. Agire sui diversi fronti è, infatti, premessa - e garanzia - per un successo da costruire passo dopo passo, nel tempo, coinvolgendo tutti gli attori politici, economici, sociali.

In questo senso occorre correggere lo scetticismo mostrato dalla giovane Greta Thunberg, secondo la quale un vero cambiamento per quanto riguarda il clima – se mai arriverà – non giungerà dalle decisioni politiche “di vertice”, ma solo da azioni di "ecologia integrale" (condividendo l’espressione a Papa Bergoglio) scaturite “dal basso”, nella vita quotidiana. Occorrono sicuramente un cambio di paradigma culturale e stili di vita “amici dell’ambiente”, come ci insegnano i giovani dei Fridays for Future, ma sono altrettanto necessarie decisioni e azioni strategiche che partano dai responsabili istituzionali. Si tratti di capi di Stato e di governo, di parlamenti, di amministratori regionali e locali: essendo stati scelti dai cittadini (almeno nei Paesi democratici), ai cittadini devono rispondere circa l’impegno per un pianeta vivibile, oggi e per le prossime generazioni.

A questo punto è forse possibile indicare altre due caratteristiche che il G20 e la Cop26 dovrebbero incarnare per giungere ad accordi, e poi a risultati, davvero ambiziosi. Oltre al multilateralismo (negazione del nazionalismo e del populismo che attraversano gran parte della politica mondiale, Italia compresa), occorrono un ambientalismo saggio, ovvero realizzabile, e – passi l’espressione “mutuata” dal piano religioso – la sinodalità. Quest’ultima, infatti, richiede di camminare insieme, di porsi in ascolto (dei popoli, delle ferite della Terra e delle genti, delle istanze reciproche…) e di discernere a livello comunitario prima di assumere decisioni. A Roma qualche segnale è stato lanciato. Ora ci si può attendere che lo stile "sinodale" sia applicato a Glasgow?

Gianni Borsa

(Foto ANSA/SIR)

Fonte: AgenSIR
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