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Nella difficoltà reagiamo!

Il suicidio del giovane friulano.

Nella difficoltà reagiamo!

Il suicidio del giovane friulano, che ha lasciato una lettera tagliente e struggente, mi ha indotto a mettermi alla tastiera e a scrivere questa lettera.Sento il bisogno di dire che si può evitare di cadere nella spirale di delusione e rabbia che ha condotto quel giovane a togliersi la vita. Sia chiaro, io sono dalla sua parte e vorrei che fosse ancora qui, a giocare ancora le sue carte e ne aveva, eccome, da giocare.Un certo tipo di mondo ti dice che, per starci dentro, devi seguire determinate regole, ma queste non sempre rispettano le aspettative, i desideri, la realizzazione delle persone.Io ho scelto di non seguire questo tipo di mondo. Da parecchi anni “non lavoro” più, se per lavoro si intende essere dipendente di un’azienda o avere un’attività autonoma. Se invece si considera la definizione di lavoro contenuta nella nostra Costituzione (art. 4, secondo comma: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”), allora io sto lavorando: faccio parte di due associazioni di volontariato e mi occupo di accompagnare persone anziane o malate verso luoghi di cura o semplicemente a far la spesa, persone che non hanno nessuno che le possa aiutare. Attraverso queste due associazioni sono entrato in contatto con un piccolo editore locale, col quale ho avviato una collaborazione che spero si allarghi e mi permetta di garantirmi un reddito.Sono aiutato dagli amici, senza i quali probabilmente non ce la farei. A mia volta aiuto una persona che sta peggio di me.Vedo che aiutare il prossimo paga, perché non si viene mai lasciati soli a se stessi. Inoltre, ciò apre nuove prospettive e fornisce nuove occasioni. La mia salute è buona, il morale è alto e il sorriso non manca mai sul mio volto.Quello che ha ucciso quel giovane è stato sicuramente anche il cinismo di questo mondo, che non dà a tutti la possibilità di realizzarsi secondo le proprie aspettative; la fredda e finta gentilezza con cui gli sono stati detti tutti quei “no” che non riusciva più a sopportare; la trafila dei curricula spediti e dei colloqui vani che lo hanno amareggiato, demoralizzato e svuotato di entusiasmo, di volontà, di gioia di vivere.Vorrei che quel giovane fosse qui. Vorrei che fosse chiaro a tutti quelli che si trovano nelle sue condizioni che un’altra visione del mondo è possibile, una possibilità di non farsi inghiottire dal mondo o di farsi da questo ammazzare c’è, esiste.Io ho scelto da tempo di non farmi soffocare dal mondo. Michele credeva di non avere altra scelta, se non quella di uscire dal mondo, secondo una sua idea di dignità.Ringrazio Dio, al quale mi affido per continuare la mia vita. Sicuramente avrà pietà per ciò che Michele ha fatto.
Paride AntoniazziConeglianoCaro Paride, ho già espresso alcune considerazioni sulla morte di Michele nell’editoriale. La tua lettera – con delicatezza – permette di allargare ulteriormente la riflessione, ribadendo il valore delle relazioni, dell’amicizia e anche della fede. Sono convinto che proprio essa offra al credente la certezza che anche nei nostri momenti più bui, nel nostro orto degli Ulivi, Gesù è accanto, porta con noi il peso della sofferenza e ci offre una prospettiva di vita. Mi sembra invece più difficile che il tuo modo di vivere possa diventare lo stile di tutti. Senza rinunciare alla bellezza delle relazioni umane e della vita interiore, la sfida più grande forse è quella di riuscire a “stare dentro” a questo mondo, con le sue dinamiche complesse, trasformandolo con la novità del Vangelo, che rende l’uomo veramente se stesso.

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