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Si può affrontare la perdita di un figlio con speranza?

Andreana Bassanetti, fondatrice dell’associazione “Figli in cielo”, racconta del suo incontro con il Papa e indica una pastorale per genitori che hanno subito un grave lutto

Si può affrontare la perdita di un figlio con speranza?

Andreana Bassanetti. è fondatrice dell'associazione “Figli in cielo”. L'agenzia Zenit l'ha intervistata.

Nell'ambito delle opere di misericordia familiare, il Vangelo parla di vedove e orfani. A questi, lei aggiunge i familiari e parenti che perdono un figlio. Perché?

Forse non si tratta di aggiungere le famiglie che vivono la perdita di un figlio o di una figlia alle vedove e agli orfani, ma di porre un ascolto più attento alla Parola. Dobbiamo toglierci i calzari se vogliamo comprendere, nei nostri limiti s’intende, la distinzione che Dio stesso fa tra un lutto e l’altro. Quando una mamma e un papà perdono ‘il frutto del loro amore’ hanno l’impressione di non riuscire a sopravvivere a tanto strazio, l’intera famiglia è radicalmente sconvolta. È il dolore più grande, inimmaginabile per chi non lo ha vissuto. Indescrivibile! Nemmeno la Scrittura ha trovato un termine adatto per esprimere questo stato, come ha fatto invece per gli orfani e per le vedove. A mio avviso rientra in un mistero di dolore-amore-dono di sè così eccelso, che è difficile ridurlo ad una sola parola. È la stessa via tracciata per Gesù e Maria nel momento più alto della loro missione. Solo passando attraverso l’esperienza personale della morte del Figlio e la lacerazione viscerale della Madre, hanno potuto compiere totalmente la volontà del Padre e rivelare a tutte le famiglie che vivono lo stesso dramma, la via maestra da seguire se vogliono comprendere veramente la loro vocazione e la loro missione: essere testimoni di risurrezione. Nelle opere di misericordia troviamo genericamente ‘consolare gli afflitti’ sta a noi saper discernere e stabilire un accompagnamento adeguato, portare la vera consolazione che viene dall’alto, dalla Sua Parola, dalla Sua volontà non dalla nostra. Se siamo noi a stabilire una pastorale di accompagnamento rischiamo di mettere solo un cerotto sulle ferite, ma non guariranno mai.

Di fronte ad un lutto come la perdita di un figlio, si resta annichiliti. Lei ha provato questa esperienza perdendo sua figlia, come è riuscita a superare questo momento drammatico?

Da sola non ce l’avrei mai fatta. Gli studi di psicologia, la psicoanalisi mi avevano allontanato dalle solide radici cristiane acquisite in famiglia. Mi ero illusa di poter risolvere ogni tipo di problema da sola. Ero in un vero e proprio delirio di onnipotenza. Quando però mi sono trovata a tu per tu con la morte mi sono accorta della mia totale impotenza, del mio nulla. Mi sentivo sottoterra, nella bara con mia figlia, nonostante i trent’anni di psicoterapia che avevo alle spalle, non volevo più vivere. Tutto era volato via in un attimo. Violentemente. Oltre la mia adorata Camilla anche il bagaglio personale accumulato, le mie false sicurezze. Avevo accantonato Dio, ma Lui non aveva accantonato me. Mi stava aspettando con una pazienza e un amore davvero infiniti. Ancora oggi a distanza di tanti anni mi commuove parlarne. Lui stesso aveva stabilito il nostro appuntamento, sulla soglia di quella chiesa che porta un nome davvero significativo: "Spirito Santo". Ho descritto minuziosamente questo Incontro straordinario nel libro Il bene più grande. Lì, in quel luogo santo, mi consegnò quel versetto di Marco: "Venite con me in disparte" (6,31) che poi è diventato un itinerario di vita, mio e di tantissime altre famiglie che hanno vissuto la stessa esperienza e anche una pastorale adeguata al nostro specifico lutto. Da quel momento la mia vita si è profondamente trasformata, trasfigurata, nonostante me. Il modo di pensare, di agire, di fare terapia da allora sono frutto solo di un ascolto profondo e costante della Sua Parola del Suo volere. Lui ha riempito non solo il vuoto lasciato da Camilla, ma l’intera mia esistenza di significati e di obiettivi nuovi e, sembra davvero incredibile, di gioia piena.

Dopo quella esperienza lei ha dedicato il suo tempo ed il suo lavoro a consolare e aiutare genitori che avevano perso i figli con l'associazione “Figli in Cielo”. Può raccontarci di cosa si tratta e come opera l'associazione?

Non avrei potuto fare a meno di condividere le grazie ricevute con chi vive la stessa esperienza di dolore e chiede aiuto. Lo considero un grande dono, un privilegio che mi ha arricchito enormemente. Ci tengo però a dire che l’associazione non è frutto di una mia intuizione. Io avevo deciso di creare un Centro per il disagio giovanile dedicato a mia figlia Camilla. Spesso le famiglie desiderano fare del bene in memoria del proprio figlio. Ma il Signore giorno dopo giorno mi portò sulle Sue vie, mi fece capire che Lui aveva un progetto. Quindi abbandonai il mio e lo seguii senza sapere dove mi avrebbe portato. Ero all’inizio del mio percorso personale, ancora con tanti dubbi e avevo ben poco da dare, ma l’abbraccio fraterno con le famiglie che incontravo, l’amore, la comprensione e la condivisione erano uniche. Stando insieme sentivamo nascere un rapporto, una parentela tra noi che era già prima di noi e andava oltre noi. Un legame che ci univa indissolubilmente, come i nostri figli in Cielo.

Aiutando loro, aiutavo me stessa. Veramente è ‘dando consolazione che si riceve consolazione’. La nostra è una grande e bella famiglia, si è diffusa a macchia d’olio come solo lo Spirito Santo riesce a fare. Si sono formate via via spontaneamente comunità in ogni diocesi sia in Italia che all’Estero, dove mensilmente le famiglie si riuniscono per un incontro fraterno, condividono le loro esperienze personali alla luce della Parola e partecipano attivamente all’Eucaristia celebrata da un Consigliere spirituale scelto in accordo con il proprio Vescovo. Ogni famiglia è poi invitata ad attivare un incontro di preghiera settimanale nella propria diocesi per sostenere chi è ancora avvolto nelle tenebre della morte, per proteggere le famiglie dalle varie insidie che la morte porta con sé: incomprensioni e separazioni che spesso sorgono in queste circostanze o i pericoli dei mercanti del lutto, tipo messaggi con l’aldilà, esperti senza scrupoli, strumentalizzazione del dolore ecc.

Nel tempo si sono uniti a noi diverse altre realtà che vive la famiglia visitata dal lutto: fratelli e sorelle, vedovi e vedove, fidanzati, parenti ed amici. Oggi la comunità di “Figli in Cielo”, che pensavamo si riferisse ai nostri figli che sono in Cielo, in realtà comprende, secondo un Progetto più grande, "tutti i Suoi figli che sono in Cielo". In tutti questi anni ci hanno chiamato infatti a portare la nostra testimonianza nei corsi di pastorale familiare, giovanile, nei vari incontri sulla vocazione e sulla missione della famiglia nella Chiesa, nelle scuole, anche all’università.

In occasione del Sinodo sulla Famiglia lei ha avanzato ai vescovi richieste per una pastorale volta ad aiutare genitori che hanno perso i figli o una persona cara. Può spiegarci meglio?

25 anni fa sono rinata, grazie a Dio e - perché no - grazie al lutto, in una parrocchia e cresciuta poi attraverso l’esperienza delle nostre Comunità in tante realtà diocesane. Il cammino è stato lungo e faticoso, nuovo e originale anche per noi, ma la ricchezza che il Signore ci fatto assaporare non volevamo tenerla gelosamente solo per noi. Il Sinodo sulla famiglia era la grande occasione per metterla a disposizione di tutta la Chiesa universale, per confrontarci, correggerci, migliorarci, proprio con l’aiuto dei Padri sinodali. Il nostro obiettivo principale è che la famiglia visitata dal lutto, in tutte le età della vita, principalmente per la morte di un figlio, come invita la Sacra Scrittura, sia ‘soggetto’ del proprio lutto e non ‘oggetto’, strumentalizzata cioè in percorsi di comodo o autoreferenziali decisi a tavolino. Se i Padri sinodali avessero avuto l’opportunità di contemplare l'immenso miracolo di morte-resurrezione che il Signore ci pone sotto i nostri occhi, soprattutto in questi giorni, dedicati a tutti i nostri amati defunti, e che noi di “Figli in Cielo” abbiamo il privilegio di toccare con mano ogni giorno con le nostre famiglie, sicuramente avrebbero avuto avuto maggiore attenzione per il lutto in famiglia. Principalmente per chi ha perso un figlio, cioè il suo passato, il suo presente, il suo futuro di genitore. Abbiamo letto e riletto la Relatio Synodi più volte ma non ne abbiamo trovato traccia delle numerose insidie elencate. È un peccato che non venga tenuto in considerazione l’esperienza fatta in questi 25 anni di cammino ecclesiale.

Il 17 giugno scorso lei ha avuto occasione di incontrare il Santo Padre Francesco durante l’Udienza Generale in cui si è tenuto la catechesi proprio su “La famiglia e il lutto”. Qual è stata la sua esperienza in quell'occasione?

È stato un momento davvero commovente. Ho avuto la grazia di essere presente a fianco del Santo Padre mentre, per la prima volta, teneva un’intera catechesi sul lutto per le famiglie che perdono un figlio o una figlia. Pur essendo una realtà che conosco bene, che ho vissuto personalmente e che vivo quotidianamente da anni, era come se sentissi quelle parole per la prima volta. La sua voce calda, avvolgente, paterna, entrava nella profondità del nostro vissuto, si faceva prossima alle ferite di ogni famiglia che ha attraversato il dolore più grande, con una tenerezza e una sensibilità che non ha eguali. Anche le altre famiglie me lo hanno confermato. Papa Francesco in quel momento stava vivendo con ciascuno di noi lo stesso nostro dramma, era dentro il nostro cuore "con l’olio della consolazione e il vino della speranza". Il Santo Padre mi ha poi dato la sua benedizione da portare a tutte le famiglie che vivono questo tremendo dramma e ha tenuto a lungo la sua mano destra sul mio capo, in silenzio. Alla fine ha avuto parole di gratitudine per il nostro servizio alla Chiesa e alle famiglie distrutte da tanto strazio e ci ha incoraggiato a continuare. Proprio per questa straordinaria vicinanza e sensibilità alle nostre famiglie e al nostro cammino ci siamo sentiti incentivate a scrivergli una lettera personale per pregarlo di avere un’attenzione particolare per il nostro percorso. Siamo certi che non lascerà sole le nostre famiglie. 

In che modo la fede in un Dio buono e misericordioso può aiutare ad accettare lutti così grandi? E perchè la figura di Maria è indicata come figura centrale per comprendere la perdita di un figlio?

All’inizio appena succede un evento così lacerante il primo grido di protesta è rivolto a Dio: "Perché? Dov’eri? Che cosa ho fatto di male per avere la tua punizione?". Anche questa fase di ribellione tuttavia presuppone un dialogo che poi via via si trasforma in ricerca e poi in incontro con il Risorto. Le famiglie visitate dal lutto comunque sono fragilissime, confuse, smarrite e quindi facili prede di persone senza scrupoli che ne approfittano in ogni modo. Per questo è necessario che trovino nella Chiesa testimoni credibili che indicano il cammino reale vissuto che ha portato e quindi porta all’incontro personale con Cristo, a scoprire un Dio Padre buono e misericordioso che ci ha tanto amati da offrirci suo Figlio, il suo unico Figlio. È comunque doveroso sottolineare che quando si è colpiti dalla perdita di un figlio, sia per chi ha fede, sia per chi l’ha persa o non l’ha mai avuta, il mondo improvvisamente si divide in due: chi ha vissuto lo stesso dolore e chi ne parla. Spesso i parenti, anche i più stretti, gli amici, a volte anche i sacerdoti ci chiedono consiglio sull’atteggiamento da tenere in queste circostanze, le parole adatte che possono aiutare.

Non esiste un manualetto che va bene per tutti ma è è importante avere un ascolto attento e discreto. La persona colpita dal lutto può aver bisogno di essere ascoltata oppure di ascoltare parole di conforto. Comunque si cerchi di essere accanto nel migliore dei modi possibili, è l’esperienza che fa la differenza: se una famiglia ha vissuto lo stesso dramma le basta dire "anch’io" e stringerla forte al proprio petto per trasmetterle vicinanza, affetto, comprensione. ‘Con-solare’ vuol proprio dire stare con chi è o si sente solo. Quindi anche se si è confusi, smarriti, in ribellione con Dio, che lo si ritiene responsabile di non avere risparmiato il proprio figlio dalla morte, Maria, la Mamma che ha vissuto la perdita del Figlio rimane un punto fermo per tutti, credenti e non. Lei sa, lei c’è, lei può comprendere, condividere, portare conforto ad ogni cuore trafitto. Io stessa ho avuto in Lei, che ha seguito impotente lo strazio del Figlio senza poter o voler intervenire, la prima goccia di rugiada nel deserto arido di morte che stavo vivendo. Maria è la confidente, la compagna di viaggio è la Mamma attuale dei nostri figli che sono in Cielo. A Lei li affidiamo perché possa amarli e accompagnarli in Cielo con la tenerezza e la dolcezza che solo una madre può avere.

Fonte: zenit.org
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