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Torna in classe l’educazione civica

INTERVISTA A SABINO CASSESE SULLA NOVITA' AL VIA NELLE SCUOLE

Torna in classe l’educazione civica

Tra qualche giorno la scuola riprende dopo il lockdown e con una importante novità per tutti: l’insegnamento dell’educazione civica. In realtà si tratta di un ritorno al passato, in chiave moderna, previsto dalla legge n. 92 del 20 agosto 2019.
Tale insegnamento dovrà essere trasversale; sarà obbligatorio in tutti i gradi dell’istruzione, a partire dalle scuole dell’infanzia, e avrà un proprio voto, con almeno 33 ore all’anno dedicate. Verterà su tre assi: la Costituzione, lo sviluppo sostenibile, la cittadinanza digitale.
Per approfondire il valore dell’insegnamento dei diritti umani e delle caratteristiche che dovrebbe avere la scuola nella formazione dei cittadini di domani, abbiamo posto alcune domande al professor Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, già ordinario di storia e teoria dello Stato alla Scuola Normale Superiore di Pisa.

Professor Cassese, quali caratteristiche dovrebbe avere la scuola per formare i bambini e i ragazzi a diventare cittadini responsabili dei prossimi anni?

«Educare è attività complessa. L’insegnante illustra la filosofia, la matematica. Ma accanto alla disciplina insegnata ci sono i consigli, l’esempio, i suggerimenti. I consigli: ad esempio, avevo l’abitudine di consigliare, ad ogni lezione, un libro, da romanzi a libri di storia, a biografie. L’esempio: anche come si esprime, come è vestito, come tratta gli studenti sono elementi che contraddistinguono il docente. I suggerimenti: non bisogna mai dimenticare che i giovani hanno bisogno di orientamenti».

Mentre lei cominciava i primi passi come docente universitario, dopo essersi laureato a Pisa, nell’entroterra fiorentino don Lorenzo Milani sosteneva che la scuola deve operare, attraverso l’insegnamento delle discipline, per esercitare le “capacità” di ciascuno e renderle prima “abilità” e poi “competenze” spendibili anche fuori dal contesto scolastico. Lei cosa ne pensa?

«Penso che questo sia proprio il compito dell’educatore. Non limitarsi a trasmettere nozioni, ma suscitare interessi, far nascere intorno a questi una curiosità, insegnare la disciplina personale necessaria allo studio, far crescere capacità e competenza».

In sessant’anni l’educazione civica ha cambiato più volte nome (educazione civica, studi sociali, convivenza civile, ecc.). Dopo essere stata messa in soffitta per anni, questa materia con la legge 92/2019 nel nuovo anno scolastico alle porte ritorna come disciplina specifica, seppure con tante difficoltà di applicazione. Pensa che rispetto ad altri sistemi scolastici siamo in ritardo?

«È un vero scandalo che a settant’anni dalla fondazione della Repubblica si debba constatare che essa non sia riuscita a “trasmettere se stessa” ai giovani. Questa è una lacuna enorme nelle nostre scuole, perché c’è una tradizione, una cultura, quella che ha formato – nel bene e nel male – la nostra società, che sfugge alla trasmissione del pensiero attraverso la scuola. Siamo in ritardo e questo ritardo va recuperato. Purtroppo, il disegno della materia indicato dalla legge è troppo ampio e troppo pochi sono gli insegnanti preparati ad affrontare una tematica che deve necessariamente comprendere diritto, sociologia, politologia».

Parlare di democrazia non significa soltanto parlare dei principi fondamentali della Costituzione. Quali altri strumenti giuridici sarebbe importante che nelle ore di educazione civica venissero presi in considerazione dagli insegnanti per una crescita integrale dell’alunno?

«Sarebbe grave che l’educazione civica si limitasse ad essere un corso breve di diritto costituzionale o pubblico. Essa dovrebbe illustrare la posizione complessiva del cittadino nella società, partendo dalle comunità di base, per passare ai partiti, illustrare il policentrismo e il pluralismo, il gioco della globalizzazione rispetto a democrazia e Stato di diritto, il ruolo dell’Unione europea, la formazione di una cultura europea, il posto della libertà dei commerci nell’unire gli uomini, ecc.».

I giovani sembrano apatici rispetto alla gestione della polis, disaffezionati alla vita pubblica e insofferenti verso le procedure democratiche nelle sue molteplici sfaccettature. Crede che l’approccio interdisciplinare previsto possa accrescere l’interesse dei giovani per il bene comune?

«L’interesse per la società e la politica non nasce solo spontaneamente, può essere coltivato dalla scuola dando, ad esempio, il compito a gruppi di studenti di gestire singole funzioni, coinvolgendoli nella formazione dei programmi, facendo vedere come si discute».

Il tema dello sviluppo sostenibile è molto vasto e non può essere ridotto e banalizzato come questione ambientale. Quali piste potrebbero essere affrontate dagli insegnanti delle scuole secondarie di secondo grado per approfondire questo tema?

«Materie così complesse possono essere insegnate ricorrendo all’uso di casi. Nell’insegnamento italiano si abusa di principi, di regole dedotte dall’alto, mentre si fa poco ricorso all’illustrazione di singoli casi o alla simulazione di decisioni».

Recentemente lei ha pubblicato il libro “Il buon governo. L’età dei doveri” per la Mondadori, in cui nel ripercorrere la storia a luci e ombre della nostra Repubblica fa intravedere che abbiamo in corpo l’energia per andare avanti. Perché è fondamentale oggi parlare di doveri umani e non solo di diritti?

«Fondamentale perché doveri e diritti vanno insieme… Posso soddisfare il mio diritto alla salute solo se io e gli altri consociati adempiamo l’obbligo tributario; ho libertà di esprimermi solo se le autorità non mi censurano; ho diritto di proprietà solo se gli altri si astengono dall’usare i miei beni. Fondamentale anche perché il binomio diritti-doveri, nato nelle costituzioni francesi del Termidoro, è stato a lungo dimenticato, ponendo l’accento solo sui diritti».

Il web è considerato dai giovani il luogo più libero e dove la democrazia sembra essere al centro di tutto. In realtà è un’entità sovranazionale che risponde agli interessi particolari di poche persone. Abbiamo esigenza di un soggetto “super partes” mondiale per governare il web e per evitare abusi alla dignità individuale o collettiva con la condivisione di informazioni non sempre corrispondenti al vero?

«C’è in realtà un supremo regolatore di Internet, ed è l’Internet corporation for assigned names and numbers - Icann, ma si interessa solo degli aspetti tecnici di vertice, fondamentalmente l’assegnazione dei nomi a dominio di primo livello. Sarà difficile avere un regolatore globale che vada oltre, e allora si dovrà contare sulla concorrenza, sulla correzione delle notizie false da parte di chi conosce le notizie corrette».

L’utilizzo del web in modo massiccio nella vita quotidiana non crede faccia perdere il valore delle relazioni umane?

«C’è molto che si perde, ma anche molto che si guadagna, perché il web è una finestra aperta sul mondo».

Professor Cassese, se dovesse tornare in cattedra a settembre, da dove partirebbe per il triennio delle superiori?

«Partirei proprio dai doveri e in particolare da quella seconda parte dell’articolo 4 della Costituzione che dispone: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”».

Enrico Vendrame

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