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MISSIONI: suor Marianna con le donne che nessuno vuole

Dall’Uganda passa in Sud Sudan

MISSIONI: suor Marianna con le donne che nessuno vuole

Da giovanissima era appassionata di atletica, oggi è un’atleta nella squadra missionaria di San Daniele Comboni. Rientrata temporaneamente in Italia dall’Uganda, ripartirà presto per il Sud Sudan suor Marianna Santin, missionaria della nostra diocesi, classe 1979, figlia di Anna e Silvestro di Scomigo. Proprio in questi giorni dalla nostra ambasciata a Wau arriva un avviso: si sconsigliano viaggi nel Sud Sudan per il “deterioramento del quadro di sicurezza”.

Ma suor Marianna - che è una ginecologa - va in quel Paese africano anche per cercare di dare aiuto alle donne più povere tra le povere: le donne che nessuno vuole più, costrette quasi a nascondersi da una cultura che le emargina perché al termine di una gravidanza hanno dovuto subire la perdita dell’utero oppure hanno riportato lesioni permanentemente invalidanti. Casi affatto infrequenti laddove vige l’imperativo del parto naturale. Se proprio occorre si chiamano parenti e stregoni. All’ospedale solo quando si è tentato tutto.

Suor Marianna vuole offrire un’opportunità a queste persone, anche se dovrà cercarle girando per i villaggi. L’opportunità di un intervento chirurgico capace di riparare l’invalidità e quindi di restituirle a una vita sociale. «Perché se una donna a 16 anni ha perso tutto, difficilmente potrà guardare a Dio e il missionario deve cercare di proporre il Dio che dà sempre una speranza».

Questo ha detto suor Marianna nel corso di un incontro a Ogliano, aperto da riflessioni di don Bruno Daniel e del parroco don Fulvio Silotto. È quel che ci si può aspettare da una comboniana del Cuore di Gesù che mobilita fede, generosità, sensibilità e anche coraggio. Un certo coraggio perché è ancora un sogno la pacificazione nel Sud Sudan promessa dai governanti a papa Francesco pur chinato a baciar loro i piedi. Ma coraggio anche per reggere alla missione fino a lasciarsi trasformare dentro. Sentire la propria fragilità nel senso di fare ciò che si può («Lasciamo fare all’Onnipotente»). Essere semplici e umili affinché Dio operi in te.

In Uganda, la mattina quando prendeva servizio all’ospedale governativo, suor Marianna trovava in attesa una fila di 15/20 donne al termine della gravidanza, tutte con problemi gravi. Emorragie, uteri rotti. Qui muore di parto una donna ogni due o tre giorni. Immaginiamoci lo stato d’animo che avremmo provato noi a trovarci lì. Solo due letti disponibili. Confusione perché bisogna organizzare l’intervento salvavita e manca personale in sala operatoria. E partorienti allo stremo che non hanno soldi per pagare l’ospedale in un Paese in cui bisogna pagare tutto, anche la donna delle pulizie in corsia.

In questa situazione suor Marianna ha retto bene sostenuta dalla lettura del vangelo, dalla preghiera, da un po’ di silenzio di Dio. A Ogliano ha sottolineato non tanto i risultati del suo impegno umanitario quanto i grazie ricevuti perché «in Uganda sempre ringraziano». Ha parlato della fede degli africani ricoverati in extremis («Andrà tutto bene, la nostra vita è nelle mani di Dio»), della disposizione positiva anche nel giorno della morte. Delle preghiere e dei canti di gioia ad ogni nascita. Cristiani o musulmani che siano.

E qui, dopo aver invitato ad essere grati al sistema sanitario italiano, suor Marianna Santin ha chiuso con un pensiero. «Quando sono tornata a Conegliano dopo anni di missione sono rimasta colpita dalla mancanza di bambini, dai pochi ragazzi, dai locali chiusi. Però tanti cagnolini. Bisogna che torni la gioia di aver bimbi e bisogna che siano aperti i cuori ai nostri fratelli migranti».

Barty Stefan

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