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SAN PIETRO DI FELETTO: Emma, casco bianco in Bosnia

Con la Caritas italiana

SAN PIETRO DI FELETTO: Emma, casco bianco in Bosnia

Un anno a Sarajevo, nei campi che accolgono i profughi della rotta balcanica, per mettere in pratica quanto studiato, per vivere la solidarietà concreta e per chiarirsi le idee sul proprio futuro. È quanto sta vivendo Emma Piccin, classe 2000, di Casotto (Comune di San Pietro di Feletto), due sorelle, diplomata al turistico Da Collo di Conegliano e laureata in scienze politiche relazioni internazionali e diritti umani a Padova (triennale). Lo scorso giugno è partita per la capitale della Bosnia-Erzegovina per un anno di servizio civile all’estero con il progetto “Caschi bianchi” della Caritas italiana. Tale progetto propone di inviare in Stati afflitti da situazioni di crisi, obiettori di coscienza, volontari e volontarie con il ruolo di “operatori di pace”, promuovendo, al contempo, i temi dell’educazione alla mondialità e all’intercultura. La destinazione di Emma non è casuale. Tre anni fa, infatti, ha preso parte all’iniziativa estiva “Scuola di pace” che da tempo la nostra Caritas diocesana organizza in Bosnia a Banja Luka in collaborazione con la Caritas locale.

A Sarajevo presta servizio nel “social corner” del centro di accoglienza temporaneo per migranti di Usivak. Il “social corner” è uno spazio, ideato dalla Caritas, in cui le persone possono prendere un thè o un caffè, socializzare, ballare, fare giochi da tavolo o ping-pong, leggere... A gestirlo persone bosniache insieme a caschi bianchi. «Nel campo di Usivak - racconta Emma - ci sono famiglie e minori provenienti da vari Paesi: Iraq, Iran, Afghanistan, Cuba, Burundi... Sono persone in fuga da miseria e guerra, dirette, lungo una delle varie direttrici della rotta balcanica, in Europa, soprattutto Francia e Germania. Fanno tappa qui prima di ripartire per una delle frontiere con i Paesi dell’Unione Europa. Ma i confini sono chiusi in modo quasi ermetico e così capita che diverse persone ritornino al campo dopo esser state respinte dalle guardie di frontiera. In estate vi è un intenso via vai di profughi, mentre in inverno, a causa delle difficili condizioni climatiche, c’è più stabilità». Varie organizzazioni internazionali sono coinvolte nella gestione dei campi. Tra loro la Caritas, che si è presa a cuore il benessere psicologico dei profughi: «Sono persone sradicate dalle proprie comunità e hanno un estremo bisogno di vivere un clima di casa e famiglia -spiega Emma -. Noi cerchiamo di aiutarli in questo. In loro colgo un forte desiderio di sistemarsi in un luogo in cui costruirsi un futuro».

Come Emma ha potuto constatare durante la “Scuola di pace”, la popolazione bosniaca è reduce da una sanguinosa guerra fratricida (la cosiddetta guerra dei Balcani), le cui ferite sono ancora lancinanti. E ora si ritrova con questa ulteriore emergenza: «La gente e lo Stato bosniaci non vogliono saperne di essere coinvolti nella questione migranti - osserva Emma - e lasciano che sia l’Onu, tramite l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), ad occuparsene».

Quella di Emma è un’esperienza umanamente straordinaria non solo durante le ore trascorse al campo profughi. «Vivo in un appartamento insieme ad altri due caschi bianchi, di Bergamo e Siracusa - spiega -. Alla sera spesso usciamo e andiamo al cinema o a eventi culturali oppure semplicemente stiamo insieme a giovani bosniaci la cui mentalità è molto occidentale. Tutti questi incontri mi stanno insegnando che è sempre necessario il confronto e che serve molta pazienza davanti ai problemi e alle persone. Sto anche imparando - conclude- a comunicare meglio come mi sento e cosa voglio per me stessa».

Federico Citron

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