Editoriale
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SEMPRE PIU' SOLI?

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

Parole chiave: solitudine (1), relazione (1), vicinanza (1), vulnerabilità (1), prossimo (1), fragilità (2), prossimità (2)
SEMPRE PIU' SOLI?

Il futuro che attende le nostre società “evolute” è uno scenario di solitudini crescenti. Il dato è sempre più evidente: per riconoscerlo non serve scomodare chissà quale indagine sociologica, chissà quale dato statistico. Basta dare uno sguardo alla media dei membri che costituiscono le nostre famiglie, sempre più spesso mononucleari. In modo drammatico, ce lo rivelano (anche nelle nostre comunità) i casi di persone che muoiono da sole nelle proprie case, di cui ci si accorge dopo giorni dal decesso. «Le solitudini – ha affermato don Massimo Angelelli, direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale della salute della Cei, rivolgendosi ai sacerdoti della diocesi ad un recente corso di aggiornamento – sono oggi la sfida delle nostre comunità; quello che attende un numero crescente di persone è di invecchiare, magari in buone condizioni economiche, con una certa disponibilità finanziaria, in una bella struttura, ma sostanzialmente da sole».

Gli anni della pandemia – sui quali, anche a detta di Angelelli, la Chiesa non ha ancora fatto un adeguato lavoro di rilettura e di ricomprensione – hanno accentuato il senso di sospetto nei confronti dell’altro ed hanno spinto nella direzione di un più marcato individualismo, anche nel modo di vivere i momenti religiosi (basta pensare alla disaffezione alla partecipazione alla messa, accentuatasi nel post-Covid, spesso “sostituita” dalla messa in Tv o via web).

Cosa fare, quindi, e da dove partire? Secondo Angelelli, la risposta è piuttosto semplice: «Quello che manca, e che mancherà sempre di più, è la relazione». Bisogna partire da qui: la Chiesa, se vuole essere all’altezza del suo compito oggi, deve leggere questo bisogno di relazione ed accogliere la sfida. In che modo?  Angelelli parla di “comunità sananti”, vale a dire comunità in cui il parroco – non da solo, ma insieme a consacrati, consacrate, laici sensibili e preparati – offre spazi e occasioni di relazione per chi vive situazioni di solitudine. Ciò significa uscire dalla propria “confort zone”, cioè dall’ambito conosciuto e rassicurante delle consuete attività pastorali, per avviare esperienze nuove, con il coinvolgimento di una rete di persone capaci di monitorare le situazioni di bisogno e di rendersi disponibili all’incontro e all’ascolto. La nostra diocesi – grazie ad alcuni cammini formativi, realizzati in sinergia dagli uffici pastorali diocesani, come “Vivere la prossimità”, e grazie anche ad alcune esperienze mirate, come quella dei “ministri della consolazione” – sta muovendosi esattamente in questa direzione. Si tratta di continuare con slancio e determinazione.

In gioco, tuttavia, non c’è solo l’attenzione a chi vive situazioni di solitudine... ma anche la qualità delle relazioni all’interno delle nostre parrocchie. Detto altrimenti, la sfida della solitudine può diventare una buona occasione – se non addirittura un’occasione provvidenziale – perché le nostre parrocchie non siano solo luoghi di “fruizione di servizi religiosi”, al termine dei quali ognuno torna a casa propria, ma vere “comunità” in cui “ci si prende cura gli uni degli altri”. E non solo degli ultimi e dei lontani, ma anche di chi mi sta vicino, del mio prossimo, appunto, che forse ha bisogno soltanto di un segno di attenzione, di una parola o di uno sguardo, che lo sottragga dalla solitudine grande o piccola che sta vivendo. E gli faccia percepire qualcosa del calore di una comunità vera, i cui membri si riconoscono “da quanto si amano”.

Alessio Magoga

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