Editoriale
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QUELLI CHE RESTANO

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

QUELLI CHE RESTANO

“Siamo quelli che restano”. Dice così una canzone di De Gregori e di Elisa che sta circolando in questi giorni in radio e attraverso altri canali di comunicazione. Una canzone, a mio avviso, molto bella, certamente per le sonorità musicali e per le voci dei due famosi artisti, ma anche per il testo molto curato e per il messaggio che vuole veicolare. Si parla delle “persone che restano”: “quelli che restano in piedi e barcollano su tacchi che ballano”; quelli che “guardano una precisa stella in mezzo a un milione”... Sono le persone che non vanno via, ma sanno aspettare: “Quelli che di notte – luci spente e finestre chiuse – non se ne vanno da sotto i portoni”. Quelli che restano sono le persone di cui ti puoi fidare, quelle di cui alla fine o nel momento del bisogno si cercano: “Quando siete stanchi e senza neanche una voglia, siamo noi quei pazzi che venite a cercare”. Il riferimento più immediato è senza alcun dubbio al mondo delle relazioni, alle amicizie e agli amori, quelli veri. Trovo controcorrente questo testo e – a suo modo – commovente. Oggi restare non è più riconosciuto come una virtù. Non è affatto riconosciuto come atteggiamento virtuoso l’aspettare, il saper attendere, il resistere… Piuttosto si assiste, ormai da decenni, alla retorica dell’andarsene, del sentirsi liberi, del fare da soli la propria strada, del “se non ti va, cambia”… Certo, in molti casi è bene andar via, ma non voglio entrare nelle mille eccezioni del caso.

Invito semplicemente a cogliere l’intuizione della canzone: in certe dinamiche relazionali – dall’amicizia, all’amore, ai rapporti familiari – non è possibile andarsene senza che questo non comporti necessariamente un tradire l’altro. La canzone, a mio avviso, vuole ricordarci proprio questo. “Restare” tuttavia ha un costo, a volte anche molto alto. E lo ricorda bene la canzone: “Più di una volta sei andato avanti dritto dritto sparato contro un muro; ma ti sei fatto ancora più male aspettando qualcuno”. Si può esser presi per “pazzi” e anche di peggio (per non usare altri vocaboli meno nobili). Proprio questo è in realtà il costo della fedeltà e della affidabilità: merce rara, oggi, sotto diversi profili e orizzonti. Pensavo che “quelli che restano” – per stare ad una delle metafore sui cui rifletteremo in questo nuovo anno pastorale – sono anche i membri di una comunità cristiana, chiamata ad essere “porto sicuro” per gli uomini e le donne di oggi che cercano un senso alla propria vita, una cosa che li accolga, dopo aver vagabondato ed errato – nei vari sensi del termine – altrove. La comunità cristiana allora ha il compito della fedeltà e della durata: saper restare quello che è nel tempo. “Quelli che restano” sono anche quelli che accolgono l’appello di papa Francesco e decidono di seguirlo anche in questo tornante difficile del suo pontificato: troppo facile seguirlo quando tutti lo applaudivano e tessevano elogi. Ora è il tempo in cui si vede chi sono quelli che restano: quelli che accolgono e riconoscono la misura evangelica – e quindi esigente – delle sue parole e del suo pontificato.

Don Alessio Magoga

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