
Si sono conclusi da poco gli esami di maturità, con qualche polemica che ha acceso un interessante dibattito. Lasciando per ora da parte la questione sull’utilità o meno dell’esame di maturità (che, secondo me, vale comunque), prendo l’occasione per condividere un’impressione: alla fine del ciclo delle scuole superiori (penso soprattutto ai licei, ma non solo) si rischia di giungere alla persuasione che la persona intelligente debba riconoscere che la vita e la realtà sono insensate ed alienanti.
Tale persuasione viene veicolata e confermata soprattutto dalle letture (e dagli autori) degli ultimi anni: penso al “pessimismo cosmico” di Leopardi (che andrebbe capito bene, in verità, ma lascia comunque un certo di smarrimento), allo straniamento dell’uno, nessuno, centomila di Pirandello, all’essere per la morte di Heidegger, all’inferno che sono gli altri di Sartre, al nichilismo di Nietzsche, ai “cocci aguzzi di bottiglia” di Montale, al mito di Sisifo di Camus e via dicendo… Cito questi autori mi rendo conto “un tanto al chilo” (e mi scuso per la generalizzazione), ma forse tali citazioni sono utili per far intuire la sensazione che resta: il vero sapiente considera la realtà (e la vita) come qualcosa di privo di fondamento, perché tutto viene dal nulla e torna al nulla (per usare un’espressione di Emanuele Severino). L’uomo si trova a vivere una condizione tragica di cui deve essere consapevole e, se ne è capace, al massimo responsabile.
Per certi versi, anche un certo tipo di spiritualità nei secoli (e decenni) passati ha favorito questo tipo di visione, svalutando questa vita e questa realtà (il mondo) a beneficio di un’altra vita e di un’altra realtà (il cielo). Con una differenza, però, rispetto agli autori di cui sopra: quella di fornire una speranza (ultraterrena) che ha aiutato generazioni a vivere questa vita (terrena). Qualcuno dirà che si è trattato di un’illusione… ma, tant’è, ha aiutato a vivere.
La realtà, però, non è solo questo. Gli autori citati dicono solo una parte della realtà e della vita, che è sì dura e difficile (in tanti momenti), ma porta con sé anche dell’altro. Una visione “più positiva” viene, certamente, dalla fede, che dà un senso alla vita umana: questa vita, e non solo a quella che verrà dopo. Ma non c’è solo questo. Baden Powell, fondatore dello Scoutismo, invita i giovani a vedere la propria vita come un “cammino verso il successo” e li esorta a “guidare la propria canoa” (imparare ad affrontare da sé la propria vita). In campo psicologico, si parla – tra i diversi approcci umanistici – di “psicologia positiva”, che tende a sviluppare le capacità dell’uomo per aiutarlo a vedere con più fiducia la propria esistenza, anche attraverso strategie e percorsi psicologici. C’è anche un “giornalismo positivo” che intende non solo denunciare i mali, ma anche segnalare il bene presente e indicare vie di risoluzione dei problemi. Sul versante della filosofia, un approccio “costruttivo” è certamente quello di Recalcati con la sua visione del “desiderio” e del bene come espansione della vita…
In definitiva, non è affatto detto che la posizione più intelligente nei confronti del reale sia quella dell’intellettuale “cupo e triste” che medita sull’insensatezza del tutto. C’è molto di più nel campo della realtà: c’è anche del buono e del bello. Per citare Sam del Signore degli Anelli, «c'è del buono in questo mondo: è giusto combattere per questo!». Sì, combattere. O, comunque, darsi da fare, impegnarsi, ingaggiarsi, costruire e far fatica… La vita è spesso difficile e anche dura (a volte ce lo nascondiamo o non vogliamo riconoscerlo), ma non è brutta né priva di senso. C’è del bello in questa vita e in questa realtà. Bisogna riconoscere che esista e poi andarlo a cercare e farlo crescere.
Alessio Magoga