
Secondo alcune antiche interpretazioni rabbiniche, tra Noè e Abramo, i due grandi patriarchi nella fede, c’è una profonda differenza. Noè prepara l’arca come gli è stato chiesto da Dio. Non commenta, non obietta, fa quanto gli è stato ordinato, non intercede per l’umanità destinata al diluvio. Non sembra preoccuparsene. Fa il suo dovere, niente di più. Secondo una di queste riletture ebraiche, Noè si sarebbe lamentato con Dio della distruzione dell’umanità, ma solo dopo, una volta finito il diluvio. Al che Dio gli avrebbe risposto: “Perché non l’hai detto prima?” (sottintendendo: “Forse ti avrei ascoltato”). Anche Abramo fa quanto il Signore gli domanda. Lascia la sua terra per il Paese che Dio gli indicherà. Non si limita, tuttavia, ad eseguire. Abramo dialoga con il suo Signore e sta di fronte a Lui. Tutti ricordano l’episodio dell’intercessione in favore di Sodoma e Gomorra: in una lunga e coraggiosa preghiera, Abramo chiede al Signore che quelle città, in cui viveva la famiglia del suo parente Lot, siano risparmiate. Abramo è migliore di Noè - concludono i rabbini - perché ha fatto di più di quello che gli era stato chiesto. Non si è limitato ad eseguire gli ordini, ma ha avuto un cuore più grande.
Questa riflessione, che nasce dal dialogo con la tradizione ebraica, ci introduce naturalmente a ricordare un altro dialogo decisivo: quello aperto dalla “Nostra Aetate”, la “Dichiarazione sulla relazione della Chiesa con le religioni non cristiane”, promulgata il 28 ottobre 1965 in seno al Concilio Vaticano II. Il documento sul dialogo interreligioso rappresenta un vero e proprio punto di svolta nelle relazioni tra ebrei e cristiani, improntate, da quel momento in poi, all’insegna del riconoscimento reciproco e del dialogo. «Scrutando il mistero della Chiesa – si legge al n. 4 della Dichiarazione, interamente dedicato alla religione ebraica – il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo».
Per celebrare questo importante anniversario “La Civiltà Cattolica” ha pubblicato un contributo di grande interesse: “Come è stata scritta la dichiarazione Nostra Aetate”, a firma di padre David Neuhaus, gesuita israeliano, docente di Sacra Scrittura, già vicario patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di espressione ebraica e per i migranti. L’articolo ricostruisce il contesto storico in cui la “Nostra Aetate” è stata redatta, nella tensione tra desiderio di apertura al mondo ebraico e riconoscimento delle istanze del popolo palestinese (e degli arabi cristiani): nel 1964 nasce l’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, e solo qualche anno dopo scoppia la “Guerra dei sei giorni” (5-10 giugno 1967). Aspetti, questi, di non poca e drammatica attualità.
Quanto sia importante il dialogo con l’ebraismo (e con tutte le religioni) per la pace nel mondo lo testimonia il recente “Incontro internazionale di preghiera per la pace” organizzato a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio, che Papa Leone ha concluso con un vibrante discorso lo scorso 28 ottobre (ancora in concomitanza dell’anniversario della “Nostra Aetate” e dell’incontro ad Assisi del 1986 voluto da San Giovanni Paolo II). Leone XIV ha esortato tutti i leader religiosi ad “osare la pace”, perché “mai la guerra è santa, solo la pace è santa, perché voluta da Dio!”.
Se vogliamo che il mondo si incammini su sentieri di pace, tuttavia, abbiamo bisogno – e non solo tra i leader religiosi – di uomini e donne che non siano come Noè, che si limita ad eseguire degli ordini, ma come Abramo, che si fa carico del destino degli altri e rischia con coraggio percorsi nuovi. AM







