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DIOCESI: "Mani tese, una foresta di vita"

Riflessione del direttore della Caritas in occasione della Giornata dei Poveri

DIOCESI: "Mani tese, una foresta di vita"

Come un tam tam primordiale ed interiore la bellissima lettera di papa Francesco per la IV Giornata Mondiale dei Poveri (domenica 15 novembre) - "Tendi la tua mano al povero" - mi ha rimandato a una serie di riferimenti e messaggi inerenti alle “mani” e costitutivi della mia vita. Innanzitutto il Messaggio mi ha rinviato alle mie stesse mani, delle quali sono particolarmente orgoglioso: sono identiche, o quasi, a quelle di mio padre. Le mani di mio papà: piuttosto grezze, robuste, non certamente da pianista o cesellatore. Mani da contadino o da muratore, mani abituate alla vanga o alla cazzuola, piuttosto che ai pennelli o alle penne stilografiche. Mani che mi hanno accolto in quel primo mattino della mia vita e poi hanno lavorato duramente per mantenermi. …Che bello e quanta gratitudine per essere stato man-tenuto da tali mani! Poi, in continuità con le mani paterne, quante altre mani tese per darmi la certezza di essere costantemente sostenuto. Mani tese nella concretezza degli incontri corporei e mani splendidamente descritte, ma tutt’altro che teoriche che mi hanno raggiunto mediante la Parola. Non riesco a preferire le une dalle altre.

Mi porto dentro il tocco sulla spalla, per salutarmi con rispetto e tenerezza, di una persona che mai più avrei rivisto e, insieme, quel “subito Gesù stese la mano, lo afferrò…” che mi riporta ai frequenti giorni di prova, giorni nei quali Lui mi stese la mano e mi afferrò. Poi quell’infinito numero di mani tese, accompagnate dall’invito: “Venite a mangiare”. Mille mani di quell’unico sacerdozio del Signore Gesù, conferito a tutti mediante l’unzione battesimale. Come le mani, descritte da Ignazio Silone nel suo Pane e Vino, del padre di Luigi, giovane studente ucciso dalla polizia fascista, che celebra la memoria con gli amici del figlio: «”E’ lui” egli disse “che mi ha aiutato a seminare, a sarchiare, a mietere, a trebbiare, a macinare il grano di cui è fatto questo pane. Prendete e mangiate, questo è il suo pane”. Il padre versò da bere e disse: “E’ lui che mi ha aiutato a potare, insolfare, sarchiare, vendemmiare la vigna dalla quale viene questo vino. Bevete, quest’è il suo vino”». Lo splendore di mani che, con il duro lavoro contadino, esprimono un’intera esistenza, nella laicità, profumata di Eucaristia.

Quante mani tese hanno segnato il mio bagaglio affettivo, l’orizzonte culturale e soprattutto il patrimonio di valori e di orientamenti significativi nella bussola del mio vivere. Poi, con il tempo, la luminosa scoperta che Cristo non ha mani ha soltanto le nostre mani per fare oggi il suo lavoro… Noi siamo l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora… No, a questa scoperta non sono stato principalmente condotto dal Quinto Vangelo di Mario Pomilio, ma dall’agire di tante mani che, il più delle volte con grande umiltà, unita a professionalità, ho visto servire, servire soprattutto i poveri. La memoria è viva, memoria di quelle mani tanto attive e generose quanto umili e silenziose. Di un forte e prolungato silenzio. Ma quando mai una foresta è cresciuta con chiasso? No, in silenzio, …persino nel silenzio di Dio. Tante mani tese, in silenzio, che diventano una foresta di luce, di una eloquenza che ti fa scoprire quanto il silenzio di Dio è un mutismo deliberato, affinché sia l’amore a parlare.

Il Messaggio di papa Francesco è un inno a queste mani che si fanno Vangelo, fattivamente Buona Notizia, per i disperati della storia. La Lettera del papa termina chiedendo che la preghiera trasformi la mano tesa in un abbraccio di condivisione e di fraternità ritrovata. Affinché le mani esprimano la Carità di Cristo, non è sufficiente tendere la mano per dare. Occorre che le mani siano, consapevolmente o inconsapevolmente, membra dello stesso Corpo di Cristo. Impegno, fatica e bellezza dell’essere e del fare Carità.

Don Roberto Camilotti direttore Caritas diocesana di Vittorio Veneto

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